FIANCO SINISTR

"Non torniamo a casa nel Pd, costruiamone una nuova"

Fornaro accoglie positivamente la proposta di Zingaretti. Ma non si torna indietro: "Si tratta di dare vita a un progetto aperto, di largo respiro". Più sinistra per contrastare le forze liberiste e sovraniste, via il Jobs Act. Nessuna preclusione al confronto col M5s

"Se riunifichiamo Pd e Articolo Uno e lo chiamiamo Pd più Uno non risolviamo il problema. Qui non siamo alla riunificazione socialista del ’66. Se c’è la consapevolezza della complessità di questa fase e della necessità di costruzione di una nuova cultura politica noi siamo disponibili a dare il nostro contributo fino in fondo”. Piace a Federico Fornaro, capogruppo di LeU alla Camera, l’“apertura di una nuova fase” annunciata dal segretario del Pd Nicola Zingaretti con il progetto di un partito nuovo e non di un nuovo partito. Saluta, il deputato che nei tempi ormai lontani del renzismo nel Pd fu gufo e pure vietcong, il prospettarsi di un progetto unitario di “una moderna sinistra di governo”, ma avverte: “Non si tratta di ritorni a casa, qui si tratta di costruire un soggetto nuovo”.

Insomma, Fornaro, più che un nuovo partito, come dice il segretario Pd, davvero un partito nuovo o qualcosa di più grande ancora, è questo che auspica?
“Noi crediamo che ci sia necessità di un soggetto nuovo, di una cultura politica nuova. Le modalità, i contenitori vengono dopo. Prima ci dev’essere una consapevolezza dei limiti e anche degli errori compiuti nel passato e non soltanto da Matteo Renzi per essere chiari, che hanno determinato questa rottura sentimentale tra la sinistra e il suo popolo”.

Lei ha subito accolto molto positivamente l’apertura di Zingaretti. Cosa la convince?
“Risponde a quella che è sempre stata in questi ultimi tempi la nostra visione. Nel dicembre del 2018 organizzammo un’assemblea nazionale dal titolo eloquente: Ricostruzione. Siamo stati sempre convinti della necessità che gli attuali contenitori, ma soprattutto l’attuale armamentario di analisi della società e di una visione da sinistra di una domanda di protezione che arriva dalla società debbano essere rinnovati. Non si può piu andare avanti con le vecchie sigle, ma soprattutto con i vecchi strumenti di analisi. Ho dato un giudizio positivo di questa apertura e disponibilità di Zingaretti a una rimessa in discussione perché credo che di questo ci sia bisogno”.

Quanto hanno pesato le piazze riempite dalle sardine? A Bologna, ma anche a Torino e in città più piccole.
“Le piazze con le sardine hanno dato un segnale e sbaglieremmo tutti a non dare una risposta. La domanda è quella di una difesa di sistema valoriale, ma anche domanda di cambiamento. Tenere insieme temi classici come la difesa del lavoro, la lotta alle disuguaglianze con temi nuovi come la riconversione ecologica, la rivoluzione digitale, è un compito cui la sinistra non può derogare”.

Temi che la destra cavalca, a modo suo, ma cavalca e raccoglie consensi.
“La globalizzazione, la rivoluzione digitale e quella climatica, contribuiscono a destare preoccupazioni e a determinare una domanda di protezione. La destra risponde con una difesa identitaria e sovranista. Non deve stupore che questo attragga molte persone. Il nazionalpopulismo interpreta, in modo sbagliato, questa domanda di protezione. Ma una moderna sinistra non può fare a meno che confrontarsi con questa istanza e fare i conti fino in fondo con il liberismo, tornando ad accettare un ruolo dello Stato regolatore più protagonista nell’economia e nella società. Il liberismo ha prodotto una forte crisi del ceto medio, che quando va in crisi rischia di andare in crisi la democrazia”.

Lei non vuol sentire parlare di un ritorno a casa, insomma di una riunificazione dopo la scissione, eppure il tema c’è.
“Il tema è quello della costruzione di un soggetto nuovo, di una nuova proposta della sinistra. In questo ho accolto positivamente l’annuncio di Zingaretti”.

Come si costruisce? Cosa serve?
“C’è bisogno è certamente di una grande chiamata di popolo non soltanto di intellettuali per cercare di accettare la sfida del cambiamento e provare a delineare una chiara e convincente visione politica della società da sinistra. Di sicuro non sarà un ritorno ai Ds, nessuna nostalgia”.

Renzi, però, ha detto che se Zingaretti fa come Corbyn per lui e la sua Italia Viva si apre un’autostrada. Vede questo rischio?
“Renzi ha risposto in maniera politicista. Lui ha lanciato una sfida che mi pare non appartenga alla sinistra, ma sia quella di un soggetto liberaldemocratico, moderno, che guarda con maggior attenzione al centro, politico e culturale. Quella di Renzi sembra essere più un’illusione che una realtà, un conto è fare un’operazione parlamentare un conto è costruire un partito radicato sul territorio, per ora vedo più la prima”.

Mai con Renzi?
“Che in prospettiva possa allearsi con un partito di sinistra che abbia ritrovato le sue radici popolare e il suo popolo non è assolutamente da escludere”.

Però il fatto che l’ex segretario premier non sia più nel Pd renderebbe decisamente più facile, anche per i vostri iscritti ed elettori, un ritorno nel Pd o come si chiamerà.
“Siccome non è all’ordine del giorno un ritorno, ma la costruzione di un nuovo soggetto è del tutto evidente che la questione Renzi non è al centro dei nostri pensieri. Detto questo sarei bugiardo a dire che rispetto alla nostra gente la scissione di Renzi, chiarendo l’equivoco, non possa che aiutare. Lo può fare però, a condizione che ci rimettiamo tutti in discussione e che rimettiamo in discussione un impianto politico e culturale che in qualche nodo aveva accettato ed era subalterno a una cultura liberista. E penso anche all’apporto che in questo percorso di ricerca di nuove idee e soluzioni possa portare il cattolicesimo sociale”.

Poi però arriva il momento delle elezioni e con una soglia di sbarramento al 5 per cento potrebbe indurvi a quel ritorno a casa che ora lei non mette in agenda.  
“Se si andrà verso un sistema proporzionale con soglia di sbarramento alta è chiaro che porterà a vedere quale offerta politica sia in grado di rispondere meglio. La dispersione dei voti sarebbe da combattere come la peste”.

Un partito nuovo, più largo, presuppone anche una rivisitazione degli organigrammi, si porrà questo problema?
“Se il tema fosse quello di un rientro alla chetichella, che non si pone, sì. Se invece il tema è la costruzione di un soggetto nuovo, credo andrebbe fatta una discussione anche sulle forme organizzative, su quale tipo di presenza digitale. Per quel che mi riguarda comunque questo è l’ultimo dei miei problemi”.

Nel Pd la questione dell’alleanza con i Cinquestelle per le comunali di Torino del 2012 sta creando divisioni sempre più evidenti, ma il tema riguarda tutto il centrosinistra. Lei pensa, come molti, che la decisione sarà calata dall’alto?
“Credo che ci possa essere un auspicio, una sollecitazione di livello nazionale, ma alla fine l’ultima parola ritengo spetti ai torinesi. Detto questo credo si debba partire dalla valutazione su questi quasi cinque anni di governo dei Cinquestelle con sindaco Chiara Appendino, se non si parte da lì i cittadini interpreterebbero un’eventuale operazione come politicista. Con altrettanto realismo bisogna tenere conto della forza del centrodestra ed evitare che alla fine tragga vantaggio da una divisione. Il problema vero per Torino è l’eterna competizione con Milano che vede quest’ultima da tempo nettamente in vantaggio. Una riflessione su qual è il ruolo di Torino anche in questa competizione che c’è sempre stata e sempre ci sarà è indispensabile, così come ruolo di capitale del Piemonte”.

Un Piemonte dove la crisi morde ancora e il problema del lavoro, come nel resto del Paese, rimane la priorità. LeU, con il ministro Roberto Speranza, ha annunciato che nella verifica di governo porrà il tema del ripristino dell’articolo 18. Il Jobs Act di Renzi resta, per voi, uno strumento da abolire?
“Se non si prende atto che il Jobs Act è stata ed è ancora una ferita profonda in chi ha sempre guardato a sinistra, si compie un errore gravissimo. Altrettanto illusorio è immaginare che si risolva tutto con l’introduzione dell’articolo 18. Una sinistra che ripensa sé stessa riparte dal mondo del lavoro. Non è, come sostiene la destra, dando meno diritti al mondo del lavoro che l’Italia riparte, ma esattamente il contrario”.

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