Il cuore d'oro del Privato

Nel mese scorso, mentre il governo discuteva su come (e soprattutto “se”) tassare le bottiglie di plastica, l’amministratore delegato di una nota azienda che commercializza acqua rilasciava un’interessante intervista a un quotidiano. Le affermazioni del manager, raccolte dal giornalista torinese, erano focalizzate su una vigorosa critica diretta al gabello che andava a colpire il materiale maggiormente usato nella sua fabbrica.

Un’avversione presto trasformata dall’amministratore in minaccia esplicita: “Il governo vuole solo fare cassa. Valutiamo se andare all’estero”. In poche righe emerge così la sintesi di una filosofia molto di moda nell’Italia post Prima Repubblica, il riassunto di un modello imprenditoriale in voga da oramai trent’anni e ora all’apice della sua affermazione.

Il bene pubblico, per tanti manager, è nulla più che un oggetto da saccheggiare, depredare, svuotare per soddisfare ambizioni personali e guadagni. L’amministratore delegato esprime un pensiero tutto sommato semplice, ora riguardante l’acqua ma allargabile a tutte le risorse del pianata Terra: “Imbottiglio una risorsa demaniale, pagando alle istituzioni locali e regionali un canone di concessione molto basso. Guadagno mettendo sul Mercato un prezioso e vitale bene comune, e se aumentano i costi (dovuti magari a compensazioni ambientali decise dallo Stato) allora sposto la sede legale all’estero. Mai rinuncerò allo sfruttamento della fonte idrica, per cui privatizzerò la risorsa tenendo però un piede fuori dall’Italia”.

La morale è sempre quella, parafrasando un noto trailer pubblicitario: benefici e profitti al Privato, mentre i costi e i sacrifici vanno tutti al Pubblico.

Naturalmente anche il manager intervistato pensa prima di tutto a “fare cassa” (ma i suoi soldi non andranno girati ai servizi diretti al cittadino, come avviene per le imposte) e per mantenere i buoni ricavi derivanti dall’attività valuta di delocalizzare quanto possibile: portare all’estero la fonte acquifera demaniale è un’opera irrealizzabile, per cui cambiare la sede renderebbe possibile lo sfruttamento senza però dover pagare fastidiose tasse ambientali.

L’Italia delle privatizzazioni selvagge crede nel “Bravo speculatore che fa il bene collettivo” e mai arretra nelle sue utopistiche convinzioni (manifestando dubbi sulla bontà dei manager) neppure davanti ai danni provocati da uno Stato che ha scelto di non gestire nulla, nonché di svendere il suo patrimonio al minor offerente.

Il mito del privato “Buono” (proteso verso i cittadini e incurante dei guadagni realizzabili) non subisce smottamenti, neppure quando crollano i viadotti per assenza di manutenzione da parte dei concessionari e tantomeno nel momento in cui cedono all’usura le gallerie autostradali. Il cuore d’oro dei capitani di impresa non inciampa negli scandali, come ad esempio quello della sanità lombarda con tanto di arresti di big della politica, e nulla sembra ridestare i nostri concittadini dal sonno catatonico in cui sono caduti sin dagli anni ’80.

Prendere tutto e non dare in cambio nulla alla società. Alle istituzioni sono elargiti buchi di bilancio, licenziamenti di massa e fallimenti catastrofici delle realtà un tempo statali e produttive.

La nuova giunta regionale assomiglia a una riproduzione mignon del governo britannico guidato dalla nota Lady di Ferro. A pochi mesi dalle elezioni, affiorano con chiarezza gli intenti degli amministratori pubblici pedemontani: sostenere il Privato seppur a scapito della res publica. Le politiche regionali, ispirate dalla Thatcher, hanno già registrato i loro effetti poiché si sono abbattute sul diritto allo studio (Edisu), i cui fondi sono stati azzerati, e sulla Sanità, dove si è dato il via libera ai pronto soccorso di gestione privata (ma finanziati dal Pubblico e chissà a scapito di cosa).

La coperta fornita dal bilancio è corta. Qualsiasi fondo concesso alle imprese, ad esempio quelle che operano nel settore della sanità, è matematicamente sottratto alle nostre eccellenze collettive (Pronto Soccorso si traduce in chirurgia emergenziale, medici specializzati e macchinari da rianimazione) mettendo di fatto a rischio le prestazioni ai pazienti non dettate da logiche di profitto (maggiori sono le analisi e gli interventi e maggiore è il ricavo).

La Destra non è soltanto quella i cui militanti minacciano il gelataio di Borgo Dora (Torino) a causa delle sue dichiarazioni pubbliche contro razzisti e xenofobi, ma a quanto pare è anche turbo neoliberismo a favore di pochi e a scapito dei più (alla faccia del cosiddetto “Fascismo sociale”).

La Sinistra, compresa quella che si ricorda di essere tale solo sotto elezioni, per anni si è concentrata esclusivamente sul raccogliere prove per inchiodare il M5s sulla propria cattiveria e incapacità politica. Nel frattempo nel Paese cresceva la voglia di mettere un uomo solo al comando, e possibilmente così forte da ricacciare in mare tutti i migranti (categoria idonea per distogliere l’attenzione popolare dai veri problemi).

Oggi si pone un bivio innanzi a noi tutti: da una parte la strada del laboratorio politico dove possano confrontarsi tutte le forze anti triplice (Meloni-Salvini-Berlusconi); dall’altra la via della resa, della divisione perenne, con successiva morte della cosa pubblica e dei servizi alla persona.

Ora tocca a noi decidere.

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