LA STAGIONE DEL GAROFANO

Il Toro, i comunisti e gli Agnelli: Cantore racconta il "suo" Craxi

Da Hammamet per il ventennale della morte del leader socialista, il ritratto di chi è stato per lungo tempo il suo luogotenente in terra subalpina. La schiena dritta con la Fiat, la sfida riformista contro le due "chiese" e la scelta della Magnani, primo sindaco donna

C’era la Milano da bere. E c’era la Torino ferrignalontana da quell’immagine glamour figlia del riformismo incarnata dalla capitale economica di un Paese che aveva imparato a conoscere un leader dissacratore e innovatore. E nell’allora capitale dell’auto i due poteri speculari e antagonisti, ma così simili nei trratti e persino nelle posture dei propri dirigenti – il Pci di matrice operaista e la Fiat disciplinata secondo i dettami del doverismo sabaudo – guardarono sempre con diffidenza Bettino Craxi, vedendo in lui un ostacolo oltre che un avversario.

“Craxi ha sempre considerato la Fiat come una realtà industriale importante, ma riteneva bisognasse rapportarsi con lei conservando sempre tutta la dignità della politica. C’era chi vedeva in Gianni Agnelli il nemico numero uno e chi andava da lui con il cappello in mano. Bettino, i socialisti, furono la terza via rispetto a queste due posizioni, una novità per il Paese”. Figuriamoci per una città che ruotava, anche nella toponomastica politica, tra corso Marconi e via Chiesa della Salute, lasciando poco terreno a posizioni che rompevano gli schemi tradizionali.

Hammamet-Torino. L’onda dell’emozione alimentata dagli eventi per la celebrazione del ventennale della scomparsa del leader del Psi si mescola ai ricordi di quegli anni Ottanta nelle parole di Daniele Cantore, all’epoca giovane segretario torinese del partito il cui percorso politico sarebbe continuato, nella diaspora socialista, in Forza Italia.

Dalla Tunisia dov’era già stato per i funerali di Craxi, dov’era tornato dieci anni dopo e dov’è ora, insieme all’allora segretario regionale Beppe Garesio, suo coetaneo e come lui allievo di Giusi La Ganga, plenipotenziario craxiano in Piemonte (non presente ad Hammamet per problemi di salute), il poco più che ragazzo che nel 1982 assunse la guida nazionale dei giovani socialisti racconta il “suo” Bettino. Immagini intime, personali di un uomo che appariva burbero e che “appena arrivato alla Festa dell’Avanti, quando andai ad accoglierlo con mia moglie e mio figlio di tre anni, se lo prese subito in braccio. Non c’erano fotografi e telecamere. Eravamo solo noi. Lui era così”.

Così diverso dall’immagine che dava e che forse voleva dare, “perché in fondo era timido, ma aperto e curioso: in Portogallo per l’Internazionale socialista dove lo accompagnai si fermava a parlare con la gente, voleva sapere, capire. Era attento ai bisogni, non esternava platealmente questo suo tratto, ma ascoltava, voleva capire chi era più in difficoltà. Lo faceva, ovviamente, anche nel suo Paese, senza ostentarlo, senza farne un uso strumentale o di propaganda di quegli incontri, spesso casuali, mai rifiutati"

Di Torino aveva capito quella diversità da Milano, quell’essere tabernacolo della liturgia di natali azionisti poi mutuati in un cattocomunismo a lui inviso più di ogni altra cosa, con in più l’essere ancora all’epoca la città-falansterio della one company town. “Ha sempre guardato con attenzione alla città. E sulla Fiat non aveva pregiudizi, ma è stato lontanissimo da ogni sudditanza. Quelli erano tempi in cui l’Avvocato saliva le scale della Regione per andare a parlare con il presidente dell’epoca, Aldo Viglione, socialista. Non sarebbe mai più successo. Sarebbe accaduto sempre l’esatto contrario”.

Torino della Juve di Agnelli e del Toro di Craxi, era anche questo. La fotografia in bianco e nero del leader socialista in tribuna con La Ganga, Garesio e lui stesso, Cantore l’ha incorniciata e donata a Stefania, “persona eccezionale che insieme al fratello Bobo, pur con idee e caratteri differenti, e alla loro splendida madre Anna, ha lavorato perché si dessero l'onore e il riconoscimento che merita un protagonista indiscusso della storia politica nazionale e internazionale, forse l’ultimo vero statista del nostro Paese”.

Bettino era tifoso del Toro fin da bambino, “la squadra era in B, gli presentai il presidente Gian Mauro Borsano”. E Borsano alle elezioni stravinse e finì in Parlamento, abbinando il suo successo a quello della squadra. La sfida era vinta. Ma quella più grande, importante, Craxi la giocò sotto la Mole nel 1987.

“Il sindaco Giorgio Cardetti decise di andare alla Camera e per il Psi si trattava di scegliere un successore. Ce n’erano almeno un paio, ed era una coppia di cavalli di razza: Marziano Marzano e Maria Magnani Noya. Andai in via del Corso, nell’ufficio di Craxi, lui ci pensò un po’ poi decise per Maria. Non fu una decisione facile, ma sono certo che la prese pensando che era giusto, era arrivato il momento di dare per la prima volta nella storia, la città nelle mani di una donna. Prima di lei, a fare il sindaco di una grande città era stata solo Elda Pucci, democristiana. Anche questo non poté che irritare i comunisti. Era un atto non solo simbolico, ma che aprì una stagione riformista a un’idea nuova di città, a progetti”.

Intanto a Torino il leader aveva cresciuto, attorno a La Ganga, un gruppo di giovani dirigenti e amministratori, tra i quali Gabriele Salerno, assessore regionale e a lungo parlamentare, craxiano suppur di scuola martelliana, e poi figure importanti, come quelle di Margherita Boniver, di Eugenio Bozzello, delle “tre grazie” – Franca Prest, Carla Spagnuolo, Elda Tessore – le ragazze “terribili” del Psi torinese. In  un Piemonte dove spesso i craxiani si trovavano in minoranza rispetto alla sinistra lombardiana e poi ferroviaria di Claudio Signorile. Accadde per esempio in una delle terre storicamente più socialiste, come quella alessandrina dove la leadership era di Felice Borgoglio e tutt’intorno figure di amministratori – da Giuseppe Mirabelli a Franco Franzò, ad Angiolino Rossa – che stavano sul fianco sinistro del garofano.

“Lui ascoltava tutti. A volte non gli serviva parlare molto, lo faceva anche con lo sguardo. Capivi. E s’era capito ben presto che Torino nel partito aveva un’importanza notevole a livello nazionale. Forse anche per la presenza della Fiat, le questioni sindacali, la marcia dei quarantamila ed Enrico Berlinguer ai cancelli”. Città laboratorio e terreno di sfida alle due chiese, quella comunista e quella democristiana unite nell’avversare il Psi di Craxi.

“Quello che ha fatto Forza Italia verso i socialisti avreste dovuto farlo voi”, ricorda di aver detto in passato Cantore ai due ragazzi di via Chiesa della Salute, Piero Fassino e Sergio Chiamparino. “Forza Italia non mi ha mai chiesto, e io non l'ho mai fatto, di rinunciare ai miei ideali socialisti, riformisti. È stato l’unico partito a consentircelo”, spiega oggi il sessantaseienne Cantore. “Loro – dice degli ex e post comunisti, passati per Pds, Ds e Pd – non sono venuti qui ad Hammamet e lo trovo un fatto, per usare parole morbide, singolare”.

Non certo non spiegabile, anche guardando a quel pezzo di storia del craxismo scritto proprio a Torino. A quella “non sudditanza” verso la monarchia degli Agnelli che faceva andare l’Avvocato dal presidente della Regione, quando decenni dopo sarebbe accaduto l’esatto contrario, con sindaci a giocare a scopone con i vertici aziendali. A quella svolta che portò una donna per la prima volta a fare il primo cittadino e, pure, guardando a quelle monetine lanciate verso i socialisti in un corteo del Primo Maggio dopo la rottura consumatasi con la giunta di Diego Novelli: inquietante presagio di quel che sarebbe poi successo davanti al Raphael anni dopo, la sera del 30 aprile del ’93, quando tutto crollò.

Poco prima di morire, Craxi scrisse su un foglio: “Solo una cosa mi ripugnerebbe: essere riabilitato da coloro che mi uccideranno”. Ecco, forse, come dice oggi Cantore nei giorni in cui molti riconoscono la figura e il ruolo del leader socialista “Bettino sembra abbia visto esaudito il suo desiderio”.

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