SOTTO LA MOLE

"Un'alleanza civica per Torino", il manifesto politico di Saracco

Con una relazione da leggere in filigrana il rettore del Politecnico inaugura l'anno accademico con un occhio a palazzo civico. Riuscirà dove ha fallito il suo predecessore Profumo? Il disegno di una grande intesa cittadina coi partiti (Pd e M5s) sullo sfondo

Più che una relazione sullo stato e le prospettive del Politecnico è stato un vero e proprio manifesto politico quello pronunciato oggi da Guido Saracco all’inaugurazione dell’anno accademico. Un discorso che nel sottolineare il peso dell’Ateneo di corso Duca degli Abruzzi nelle trasformazioni di Torino ha inteso rivendicarne il ruolo centrale, di guida nei processi decisionali in una città che “si è sgretolata, ma si sa che cosa ha preso il posto delle sue organizzazioni”, per dirla con le parole di Giusepper Berta, riportate di una delle slide proiettate a corredo della prolusione. Insomma, a dispetto di comprensibili tatticismi, oggi il rettore è sceso in campo. Cercando di ritagliarsi un perimetro politico a suo uso e consumo, ovviamente nell’alveo di quella mitica società civile, a suo dire pressoché unica portarice di valori e competenze. E lo fa anche a costo di disegnare azzardati sincretismi, mettendo sullo stesso piano (e nella stessa foto) la piazza dei Sì Tav e quella del No, Sardine e Madamin. In questo ostentato elogio del protagonismo civico il professor Saracco è pure scivolato in una gaffe quando ha ammess di provare “simpatia per i gilets jaunes”, quasi a porsi sulla stessa lunghezza d'onda di Luigi Di Maio che, da ministro del governo gialloverde, andò a Parigi a rendere omaggio ai leader di quel controverso movimento. Del resto, non è un mistero che tra i principali sostenitori di una sua candidatura a sindaco di Torino vi sia proprio Chiara Appendino, presente in prima fila, che vedrebbe nel rettore del Poli la figura di sintesi dell’asse giallorosso oggi al governo del Paese.

Saracco, l’uomo del compromesso tra le alte sfere di Movimento 5 stelle e Pd, colui che potrebbe riuscire laddove ha fallito uno dei suoi illustri predecessori, Francesco Profumo, che nel 2011 sembrava poter essere il naturale successore di Sergio Chiamparino e che invece dovette mettere da parte le proprie ambizioni per lasciare il terreno sgombro a Piero Fassino. Una rinuncia che venne abbondantemente ripagata, prima con la presidenza del Cnr, poi con la nomina a ministro, infine con la poltrona di numero uno di Iren e della Compagnia di San Paolo. Certo, all’epoca il Pd era ancora un partito tutto sommato in buona salute, perno di quel Sistema Torino che i grillini promisero di debellare. Oggi, invece, “i partiti devono affrontare innanzitutto una crisi di rappresentanza delle istanze nuove poste dai cittadini e dalla società civile” dice Saracco, prendendo a prestito le parole dello storico Alessandro Barbero.

Uno schiaffo seguito da un ramoscello d’ulivo: “Guai, però, a denigrare i partiti, si rischia di rendere la democrazia stessa un valore a rischio. Come l’università e l’industria anche la politica deve cambiare e trovare un nuovo assetto”. Più chiaro di così. In un altro passaggio il rettore integra il modello della tripla elica, che pone università, settore privato e pubblica amministrazione al centro di un circolo virtuoso in grado creare sviluppo. Un modello al quale Saracco aggiunge la società civile che è composta dalla gente comune, organizzazioni sindacali, associazioni spontanee, organizzazioni religiose, fondazioni bancarie e per la formazione. In questo schema ci sono tutti, ma proprio tutti, tranne le formazioni politiche. Relegate a rango di comprimari. Come non leggere in filigrana, dietro questa analisi sociologica piuttosto approssimativa, il viatico per una “grande alleanza tra politica e università”, con i partiti nel ruolo di portatori d’acqua, cioè di consenso. Voti.

D’altronde negli anni in cui Torino ha perso buona parte della sua industria, ha visto migrare l’headquarter delle sue banche a Milano e vive una delle più profonde crisi economiche della storia, il Politecnico è rimasta una delle poche eccellenze. Il peso dell’ateneo è in continua crescita: lo dicono i dati che certificano un incremento del 50 per cento dei suoi studenti negli ultimi dieci anni. Ma è percepibile anche fisicamente nella sua espansione urbanistica. È tra i pochi soggetti in grado, oggi, di acquisire delle aree e riqualificarle, finanziare progetti innovativi, attrarre cittadini da fuori regione. Una presa di coscienza che Saracco fissa nel suo discorso citando il professor Joseph Stiglitz, Nobel per l’Economia nel 2001, recentemente insignito dal Politecnico della laurea honoris causa: “In tempi di crisi profonda dell’economia e della politica le organizzazioni no-profit, come le università, sono i soli attori sociali in grado di promuovere un cambiamento verso una nuova traiettoria sostenibile”. Stiglitz è tra i teorici di riferimento nel mondo pentastellato. Nel 2013, alla vigilia delle elezioni politiche, Beppe Grillo arrivò a sostenere che “il nostro piano economico l’ha fatto Stiglitz” salvo essere prontamente smentito dal diretto interessato. Negli anni successivi altri esponenti del M5s l’hanno tirato per la giacchetta, reinterpretando le sue critiche ai giganti della finanza internazionale.

È già capitato che nel momento di massima crisi dei partiti e della politica, la città si affidasse al Politecnico, dando il via alla stagione dei professori. Era il 1993 quando al piano nobile di Palazzo Civico salì Valentino Castellani. Per quanto riguarda Saracco forse c’è da aggiustare il tiro. Chissà come si saranno sentiti i vertici dell’Unione industriale torinese Dario Gallina e il suo probabile successore Giorgio Marsiaj, entrambi in platea, mentre il rettore affastellava, una dietro l’altra, citazione di Keynes abbinate a una crisi feroce del libero mercato. Gongolava invece lo storico leader Fiom Giorgio Airaudo, anche lui tra i presenti.

Tra i passaggi più significativi della relazione del rettore anche quello relativo alla meritocrazia. “Ogni volta che si sceglie un meritevole si frustrano le aspettative di molti. E lentamente, ma inesorabilmente, si insinua il germe dell’insoddisfazione in un numero crescente di persone e queste prima o poi sovvertono gli equilibri” dice citando il sociologo Michael Young, che pare aver preconizzato con ampio anticipo la rivolta dei mediocri in atto. I migliori, “gli eccellenti” devono operare “per il bene di molti” afferma Saracco. E lui pare già pronto a farsi carico di questa gravosa missione.

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