VERSO IL 2021

"Appendino ha fallito"

Il Pd di Torino prova a sottrarsi dalle alchimie romane (e dall'abbraccio con il M5s). Un documento per certificare il "giudizio negativo" sull'amministrazione pentastellata. Intanto la sindaca prepara la corsa alla leadership nazionale. Stati generali a Torino?

Il “giudizio negativo” sull’amministrazione di Chiara Appendino e la necessità di “un progetto politico alternativo a quello attuale” sono due dei passaggi più significativi della relazione che il segretario Mimmo Carretta pronuncerà venerdì davanti alla direzione del Pd di Torino e sulla quale i dem saranno chiamati a pronunciarsi. Carretta parlerà apertamente dei “fallimenti di un’amministrazione arenata sotto il peso delle sue contraddizioni e dei suoi conflitti interni”. Non verrà chiesto alla direzione di votare a favore o contro una ipotetica alleanza coi grillini alle prossime elezioni; “quello eventualmente sarà un passaggio successivo” ragionano in via Masserano.

Il voto in Emilia-Romagna ha disegnato un nuovo scenario, con rapporti di forza ormai capovolti rispetto a due anni orsono, tra M5s e Pd. Da Roma Nicola Zingaretti è pronto a “spalancare” le porte del partito come suggerito da Romano Prodi e continua a considerare quello coi grillini più di un semplice matrimonio di convenienza. Vuole portarseli dentro in una ipotetica nuova casa progressista e non è escluso che a traghettarceli possa essere proprio Appendino, ormai proiettata verso la successione di Luigi Di Maio. Una corsa tra due donne per la leadership? “Non lo escludo” ha risposto il ministro Vincenzo Spadafora ai cronisti di fronte al possibile duello tra la sindaca di Torino e la vicepresidente del Senato Paola Taverna. La prima sarebbe espressione di un partito che dialoga con il Pd nell’ambito di un rinnovato centrosinistra, costruendo un’alleanza in grado di durare nel tempo e di perpetuarsi anche fuori dai palazzi romani; l’altra ha sempre incarnato lo spirito originario del M5s, quello dei Vaffa Day, una forza alternativa alla destra come alla sinistra, per quanto le sue più recenti uscite abbiano aperto uno spiraglio al dialogo coi dem. Il tutto mentre rimbalza da Roma, sempre più insistente, l'ipotesi che possa essere proprio Torino a ospitare i prossimi Stati Generali.

Così Torino potrebbe diventare laboratorio di alchimie romane, un destino cui il Pd torinese prova a sottrarlo, attraverso un “dialogo con la società civile e i corpi intermedi della città”, un percorso che avrà nella festa, anticipata per l’occasione alla fine di giugno, un momento di confronto e dibattito.  Riguardo al prossimo candidato sindaco, “il Pd può esprimere più figure all’altezza della sfida” ma questo ruolo “non è rivendicato aprioristicamente” è la tesi di Carretta. “Solo così infatti si possono creare quelle condizioni di fiducia necessarie alla costruzione di una coalizione ampia e di un programma ambizioso”. Sullo sfondo resta la candidatura dell’attuale capogruppo Stefano Lo Russo, che non evapora e neanche sfonda, dentro e fuori il partito.

In un quadro che si fa sempre più confuso, si muovono come formiche impazzite deputati, senatori, segretari e attivisti in un dedalo di dichiarazioni talvolta scontate quando non addirittura contraddittorie. Ventiquattr’ore fa il segretario del Pd piemontese Paolo Furia ha rilasciato due interviste ad altrettanti quotidiani torinesi, nelle quali in una pare smentire quel che afferma nell’altra. Si aggiunge anche qualche gustoso giallo. Come quello di un incontro segreto a quattro tra Sergio Chiamparino, il deputato Andrea Giorgis, l’eminenza grigiastra di Piero Fassino Giancarlo Quagliotti e il rettore del Politecnico Guido Saracco. Due dei quattro smentiscono, il dubbio rimane. L’accademico è considerato da tempo il punto di caduta di una possibile intesa tra Pd e Cinquestelle, ma c’è chi non lo vedrebbe male anche a capo di una coalizione di centrosinistra. E poi c’è il dibattito sulle primarie: Furia per esempio è favorevole, ma è evidente a chiunque che questo strumento escluderebbe l’opzione civica e darebbe la stura a una competizione a suon di preferenze tutta interna al ceto politico.

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