DIRITTI & ROVESCI

Cantone: "La corruzione si combatte prevenendola"

Per cinque anni, alla guida dell'Anac, ha setacciato contratti, appalti, acquisti, spese. Tangentopoli è stata "un'occasione mancata". Ma il fenomeno non si argina solo con le inchieste giudiziarie: "Cattive regole sono alla base delle cattive azioni”

“Prevenire è meglio che reprimere”. Sembra una banalità, invece nel caso della corruzione questo assunto racconta una strategia sbagliata perseguita e proseguita per anni, un approccio incompleto a uno dei fenomeni più pervasivi e gravi sotto il profilo sociale ed economico, del nostro Paese. Ma è anche l’affermazione con cui Raffaele Cantone, il magistrato per cinque anni, fino all’estate scorsa, a capo dell’Anac, Autorità Nazionale Anticorruzione, riassume la sua esperienza e il suo lavoro di approfondimento della patologia corruttiva e dei necessari anticorpi che il sistema deve sviluppare, così come le indispensabili terapie. Analisi di un fenomeno e regole che il magistrato ha raccolto nel recentissimo saggio Il sistema della prevenzione della corruzione, pubblicato dalla torinese Giappichelli, decimo volume della sua ormai lunga produzione editoriale.

Dottor Cantone, quindi meglio agire prima di arrivare alle manette?
“L’obiettivo è quello di evitare la commissione del reato, ovviamente una volta che ciò accade è giusto punirlo con le regole del codice penale”.

Questo è un approccio recente, per anni non si è affrontato questo fenomeno sotto l’aspetto preventivo. Perché?
In passato si dubitava del fatto che la corruzione fosse un reato prevenibile. Certo è un reato in cui c’è un’indole individuale negativa: se io decido di farmi corrompere è una scelta individuale, ma che finisce per essere anche influenzata dalle situazioni di contesto. E la prevenzione cerca di intervenire su quelle situazioni che favoriscono e agevolano la corruzione.Bisogna continuare sulla strada che si è intrapresa. La prevenzione per sua natura è un’attività che teoricamente potrebbe essere fatta anche a prescindere dall’esistenza del problema e va fatta a proprio per evitare il fenomeno. Il problema riguarda innanzitutto le regole. Cattive regole sono alla base delle cattive azioni”.

Non certo senza ragione alla corruzione si associa spesso se non sempre la politica. Ma non c’è, in questo fenomeno criminale, anche una forte componente della burocrazia?
“Certamente c’è soprattutto una burocrazia, ovviamente non solo. E questo è forse un limite della prevenzione. Oggi la corruzione numericamente più quantitativa è quella che si annida soprattutto nelle scelte della burocrazia, ma questo ha una sua ragione giuridica: dopo Tangentopoli, con le riforme Bassanini, la burocrazia è diventato spesso il soggetto realmente decidente, mentre la politica ha perso una serie di attività. Ecco perché gli apparati burocratici presentano una percentuale di rischio maggiore e perché l’attività di prevenzione si concentri soprattutto su questo ambito, senza tralasciare certamente la politica”.

Quando e perché in Italia si è incominciato a parlare anche di prevenzione, oltre che di repressione?
“L’Italia ha avviato dal 2012 una nuova politica su questo fronte, un fatto nuovo per un Paese che aveva sempre utilizzato solo la repressione. Ma non è un’invenzione italiana: il nostro Paese ci arriva perché questo è espressamente previsto in una convenzione internazionale dell’Onu del 2003 che indica come tutti gli stati debbano adottare politiche preventive”.

Più grandi sono gli appalti, più alto è il rischio di corruzione. Lei concorda su questa equazione? E, quindi, ha ragione chi li osteggia?
“Più sono grossi gli interessi economici, più possono essere grossi gli appetiti, però questa non è una giustificazione per non fare grandi appalti. Se si devono trasportare mille euro li si mettono in tasca, per un milione si utilizza una scorta blindata. Insomma, per gli appalti più grandi bisogna avere un’attenzione maggiore, ma non significa non farli”.

Un altro tema sono le stazioni appaltanti, sono troppe?
“Sì. Sono convinto che le stazioni appaltanti debbano essere ridotte. Non solo perché c’è un rischio di corruzione, ma anche perché spesso abbiamo un problema di mancanza di competenza. Non tutti sono in grado di fare tutto, non tutte le stazioni appaltanti hanno il know-how necessario. La loro riduzione che era una delle misure contenute nel Codice degli appalti che però, purtroppo, è rimasta sulla carta”.

A proposito del Codice degli appalti, un errore quello di affossarlo?
“Io non voglio tornare sulle polemiche. Una cosa però mi sento di dire con assoluta tranquillità: il Codice non siamo in grado di giudicarlo, perché di fatto è stato in qualche modo messo in discussione quando era stato attuato per non più di un venti per cento. È stato oggetto di una valutazione negativa e demolitoria senza averlo mai visto all’opera. Va però anche detto che il legislatore è stato poco accorto non individuando un regime transitorio che avrebbe dovuto favorire il passaggio dalla situazione in essere a quella nuova. Questo ha creato tantissimi problemi, ma io mi sento di dire che è difficile giudicare un Codice che non è mai entrato sostanzialmente in vigore”.

Lei è stato recentemente chiamato a collaborare con la Commissione parlamentare Antimafia. Quanto pesa la corruzione nella criminalità organizzata?
“I meccanismi di misurazione della corruzione non sono oggettivi. Detto questo, la criminalità organizzata utilizza moltissimo la corruzione come strumento di potere, oggi più di prima e soprattutto nei luoghi non di insediamento tradizionale delle organizzazioni mafiose. Le mafie al Nord sparano molto meno e corrompono molto di più. Meglio un funzionario reso complice che intimidito”.

Quasi trent’anni da Mani Pulite. All’epoca si diceva che la corruzione era stata spazzata via. Alla luce di quel che è successo dopo e della situazione attuale cos’è stata Tangentopoli? Che eredità ha lasciato?
“Credo sia stata una grande occasione persa per il Paese. Il fenomeno corruttivo è stato aggredito con una forza senza precedenti, sia pure probabilmente con qualche sbavatura. Il problema vero è che non si è fatto nulla dopo gli interventi repressivi, anzi si è provato sostanzialmente a tranquillizzare tutti dicendo che con Tangentopoli era stata eliminata la corruzione. Un errore, commesso forse in buona fede o forse non del tutto. Certo ha fatto sì che la corruzione sia tornata, con corrotti e corruttori ancora più furbi. L’assenza per tutti questi anni di interventi di carattere preventivo ha pesato molto. Quando una persona ha una patologia, il medico interviene, la risolve, ma indica e chiede al paziente di cambiare stili di vita. Cambiarli dopo Tangentopoli significava intervenire con meccanismi che dovessero avere rilevanza preventiva e ciò non è stato fatto fino a non molto tempo fa. Ecco perché è stata una grande occasione persa”.

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