EMERGENZA SANITARIA

Paura "normale" ed eccessiva, ma l'antivirus non è su internet

Il filosofo Vattimo analizza il delirio collettivo scatenato dal coronavirus: "Reazioni irrazionali, ataviche e ancestrali all'ignoto che mina la nostra esistenza". La risposta non è chiudere scuole e luoghi d'incontro: "Apprezzeremo di nuovo lo stare insieme"

Un giorno, raccontandosi e raccontando di qualche acciacco, confessò: “Non ho paura di essere morto, ma di morire”. La paura. Dalla sua casa di via Po che affaccia sul Rettorato, Gianni Vattimo vorrebbe forse scacciarla innanzitutto proprio da quell’Università che gli procura un misto di rabbia e di sconforto nel vederla chiusa, piegata anch’essa dal coronavirus. O meglio, dalla paura che il morbo ignoto ed emblema perfettamente angosciante dell’ignoto scatena.

“Sospendere le lezioni... mi sembra tutto così eccessivo, così brutto”. È una reazione dura, forte quella del filosofo teorizzatore del pensiero debole, di fronte a quella che è la più atavica delle debolezze umane, se è lecito definire così la paura. “Che poi io non ne vedo così tanta. Il problema è che tutti sono spinti a rispettare delle norme, non andare al cinema, trovare i musei chiusi, come si fa a non avere paura, a non temere qualcosa che gli scienziati e i numeri ci dicono non essere così terribile? Sì, c’è un’esagerazione mediatica. La vedo come una cosa troppo amplificata, anche se non intenzionalmente”. E così l’Università deserta, le scuole chiuse sono per chi ne ha fatto ragione e casa di vita “un qualcosa che faccio difficoltà a comprendere, pur capendo che ci sono delle necessità per fronteggiare questo virus”. L’altro, quello che genera ansia, timore e financo rischia di precipitare nel panico, ha tanti nomi e tante facce. Quelle della gente che è corsa a fare incetta di derrate alimentari, di disinfettanti, svuotando scaffali facendo la coda, uno accanto all’altro e in quel mentre forse senza paura o con troppa chissà.

“Un comportamento irrazionale, impensabile fino a pochi giorni fa. Ma che ci riporta a reazioni antiche, a paure ataviche che, invece, piombano adesso nell’era digitale, nel mondo globalizzato. Succede quel che nessuno immaginava, le preoccupazioni e i timori vengono amplificati dai media e dai social e la gente cosa fa? Pensa: resterò senza mangiare. La più antica delle angosce”. Affiorano i ricordi d’infanzia, “quando c’era la guerra, il razionamento. C’erano gli accaparratori, la borsa nera. Triste vedere queste scene adesso, quando nulla le giustifica. Solo un’assurda paura”.

Torino s’approccia a un graduale e non si sa quanto facile ritorno alla normalità, le scuole riapriranno tra pochi giorni e Vattimo, almeno nella sua città, può scacciare l’immagine “brutta” di quelle “lezioni fatte a distanza, con il computer. Spero non si arrivi a questo...”, sospira. “Sì, credo che una situazione più normale, sarebbe meno pesante dal punto di vista psicologico. Più giusta, rispetto al rischio sanitario, ma anche a quello di creare una frattura nel già precario senso di comunità, nel rapporto con gli altri”.

Il filosofo, l’uomo, che un’altra malattia generatrice di paure (e di morti) lo privò di due compagni di vita, dice che “quando sento che i numeri dei casi gravi o peggio letali sono abbastanza bassi un po’ mi tranquillizzo, però un po’ mi scandalizza che si dedichi tutta questa attenzione. Chissà, forse anche questo virus finirà come l’Aids, diventando endemico a basso livello, chissà...”. Ricordi, dolori, riflessioni, speranze. Ma anche un approccio da studioso dell’uomo: “Adesso ci dicono che stare con gli altri è pericoloso. Magari dopo queste dura esperienza la gente apprezzerà di più stare con gli altri, apprezzerà quel che con le nuove tecnologie aveva un po’ perso e che adesso, invece, si vede costretta a rinunciarvi”.

Si dice sorpreso per “tutti questi provvedimenti più volti a evitare problemi ospedalieri che non a fronteggiare una letalità che, a quanto dicono gli scienziati, non è alta. Non siamo di fronte a una spagnola”. Ma, la paura scava anche nel passato lontano. “Emergono, come sempre, le notizie negative rispetto a quelle positive. E a questo si aggiunge una mancanza di conoscenza della malattia. Però, mi sembra tutto eccessivo”.

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