Punch Torino, che occasione!

Tutti parlano ma nessuno ascolta, impegnati come sono a chattare sui social. Questa è la sintesi della situazione politico istituzionale e anche un po’ sindacale del nostro territorio metropolitano. Proprio nei giorni scorsi abbiamo avuto un segnale forte della possibile trasformazione di un’impresa torinese ma nessuno, nessuno, ha sostenuto l’idea e messo a  disposizione le sue competenze e condizioni di fattibilità.

Nell’intervista all’amministratore delegato Antonioli, della ex Gm, che tutti portavano a fiore all’occhiello dell’industria torinese nel campo della ricerca sui motori diesel, egli ha detto una frase importante che è la chiave e il cuore programmatico di un possibile sviluppo: “Abbiamo un progetto importante, Punch ha una importante fabbrica di trasmissioni vicino a Strasburgo. Il progetto è quello di individuare un’area e uno stabilimento in cui potremmo produrre motori”. Passare insomma dalla progettazione alla produzione. E alla domanda se potrebbe essere Torino risponde: “Per il momento non posso dire di più. Diciamo che sarà nell’area europea” e poi aggiunge che nel frattempo si concentreranno a Torino attività sparse per l’Europa.

Alcune sigle sindacali non hanno saputo fare altro che rimarcare come è avvenuta la comunicazione senza coinvolgere il sindacato. Ma si sa la politica oggi è fatta di due cose: tenere gli occhi e la mente sui social per verificare l’andamento del proprio consenso immediato e quando si alza la testa e si parla chiedere aiuti al Governo perché c’è la crisi. Dimenticavo una terza: occupare qualche poltrona.

La vendita di Gm a Punch, oltretutto si chiamerà Punch Torino, è una grande opportunità per l’area metropolitana, la sua idea di espansione e produzione di trasmissioni e motori, motori diesel. Il sindaco di quest’area metropolitana insieme all’assessore al Lavoro della Regione avrebbero già dovuto offrire all’azienda un’area dismessa industriale su cui progettare il nuovo stabilimento. E invece, silenzio… c’è il coronavirus, giusto, ma soprattutto dobbiamo decidere se si gioca o no Juventus-Inter.

Ad esempio, non abbiamo un’azienda, a La Loggia, operante nel settore del diesel che ha dichiarato esuberi e chiusure dei siti? Non abbiamo a Riva di Chieri quasi 400 lavoratori a spasso che attendono risposte occupazionali? Certo occorre un po’ di sagacia, velocità di pensiero, rapidità nell’azione, visione e conoscenza del proprio territorio. Se manca…

E poi c’è il motore diesel. I tedeschi che hanno dato vita allo scandalo dieselgate sono l’unico Paese in cui le vendite di diesel sono di nuovo aumentate. Perché, semplicemente, anche quando creano un problema lo sanno affrontare più alacremente e risolverlo senza isterie collettive e perché sanno leggere i dati meglio e più velocemente di noi. Facciamoci aiutare dalle statistiche del sito Anfia.

“Nel 2018, le auto a benzina sono state le più vendute nell’Ue, costituendo quasi il 60% di tutte le nuove immatricolazioni. Secondo i dati provvisori pubblicati dall’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), nel 2018 le emissioni medie di biossido di carbonio delle nuove autovetture immatricolate nell’Unione europea sono aumentate per il secondo anno consecutivo, arrivando a 120,4 grammi di CO2 per chilometro. Dopo un costante calo dal 2010 al 2016, di quasi 22 grammi di CO2 per chilometro (gCO2/km), le emissioni medie delle nuove autovetture sono aumentate nel 2017 di 0,4 g di CO2/km e, secondo i dati provvisori, il rialzo è proseguito con un aumento ulteriore di 1,9 g di CO2/km nel 2018.

Le auto diesel hanno costituito il 36% della domanda, segnando un calo di 9 punti percentuali dal 2017 e 19 punti percentuali dal 2011, quando le diesel raggiunsero il picco con una quota del 55% della nuova flotta immatricolata. Nel 2018, le emissioni di CO2 delle auto diesel (121,5 g CO2/km) sono mediamente molto vicine a quelle delle auto a benzina (123,4 gCO2/km). La differenza di 1,9 g di CO2/km è stata la più bassa osservata negli ultimi 5 anni”.

C’è una vasta area trasversale politica, istituzionale e in parte sindacale abituata a dichiarare finita la Fiat, salvo poi stupirsi quando la stessa fa toccare con mano le trasformazioni tramite investimenti avvenuti nei suoi stabilimenti; abituata a invocare un secondo produttore automotive e poi quando ve ne è la possibilità non coglierla.

Anche qui perché è passata l’idea che davvero il diesel è finito. Altra grande cantonata. I tedeschi, soprattutto Bmw e Audi (quindi Volkswagen) stanno studiando il diesel ibrido e nel campo industriale Cnhi tra i primi (che ricordo è sita in Lungo Stura Lazio, Torino, non a Calascibetta)  sta sviluppando il “triangolo” diesel-ibrido-elettrico oltre all’idrogeno con Nikola, startup statunitense considerata la Tesla dei camion, con cui punta a un trasporto a zero emissioni nel settore dei veicoli commerciali pesanti in Europa e in Nord America.

Il settore industriale comprende i veicoli commerciali, i camion, i trattori, gli autobus (sono i segmenti che determinano o meno la floridezza dell’economia di un Paese) e che viene spesso dimenticato ma che oggi sono tra le più importanti fonti di inquinamento, insieme al riscaldamento condominiale, anche perché il parco macchine è prevalentemente obsoleto.

Dall’altra parte, anche qui da Anfia, “se i suv sono in genere più pesanti e hanno motori più potenti e aree frontali più grandi - tutte caratteristiche che aumentano il consumo di carburante – la maggior parte dei nuovi suv venduti è alimentato a benzina, con emissioni medie di 133 gCO2/km, circa 13 gCO2/km in più delle emissioni medie delle altre auto a benzina. E se l’obiettivo 2021 per raggiungere il target dell’UE di 95 gCO2/km, occorre che la media delle emissioni si riduca ancora di 25,4 g/km rispetto al valore del 2018, è un’impresa impossibile senza il contributo delle auto diesel nuove, che producono meno CO2 delle auto a benzina e/o senza un aumento esponenziale di auto elettriche”.

Cogliere questa opportunità che consentirebbe all’area metropolitana di fare crescere un’azienda, altamente professionalizzata; con forti legami con il Politecnico, all’avanguardia nel campo della ricerca e progettazione dei motori diesel, e che potrebbe diventare anche un’azienda produttrice di motori in un campo assolutamente nuovo per Torino, coniugando l’elettrico di Fca con il diesel ibrido-elettrico e l’idrogeno, qualificherebbe e rilancerebbe Torino e la sua area metropolitana a trecentosessanta gradi nel campo motoristico. Perché l’importanza, in prospettiva, di sviluppare il motore automotive a idrogeno a Torino ci creerebbe un’eccellenza futuristica.

D’altra parte come ha dichiarato Annalisa Stupenengo, brand president di Fpt Industrial (è a Torino l’azienda!) “non ci può essere una forma di energia (motore) egemone, nel  prossimo futuro. Noi ci schieriamo per la libertà di scelta…”

Allora evitiamo che si confermi quel detto: “Il coraggio bussò e nessuno rispose”.

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