ENERGIA

Concessioni idriche, la Regione rischia un buco nell'acqua

Approvato in giunta il disegno di legge per la gestione dei bacini sul territorio piemontese. La Lega canta vittoria, ma nel governo c'è chi ipotizza un cambio della norma nazionale. Tutto da rifare?

Sull’idroelettrico il Piemonte rischia di fare un buco nell’acqua. Gli squilli di tromba del centrodestra e della Lega in particolare per salutare l’approvazione del disegno di legge regionale per l’assegnazione delle grandi derivazioni dopo il passaggio degli invasi dal demanio alle Regioni, rischiano di suonare stonati di fronte a quello che si prospetta a livello nazionale e che potrebbe modificare non poco la norma varata dal Governo gialloverde, ben presto oggetto di parecchi dubbi, non poche critiche e già un primo ricorso alla Corte Costituzionale.

Per il solo Piemonte parliamo di 67 concessioni che storicamente erano in capo allo Stato, un numero importante attorno al quale, inutile dirlo, girano interessi ingenti. Solo le concessioni superiori ai 3.000 kw saranno riassegnate con bandi a evidenza pubblica, 11 di queste sono scadute e le procedure dovranno partire entro il 2022. Almeno stante la legge attuale. “Si tratta della prima forma di autonomia regionale in ambito energetico e di sviluppo di energia rinnovabile” ha detto, con orgoglio, l’assessore alla Tutela delle acque Matteo Marnati, spiegando che “il meccanismo di apertura alla concorrenza a cui verrà sottoposta l'assegnazione in concessione della risorsa idrica e delle opere regionali risulta particolarmente innovativo rispetto al passato, in quanto sarà possibile inserire nei bandi specifici criteri di individuazione della miglior offerta”.

Per non dire dei precedenti annunci del capogruppo della Lega Alberto Preioni, circa un futuro in cui ospedali e altre strutture pubbliche “avranno la corrente gratis”. Ma è davvero una corsa senza ostacoli quello del passaggio dallo Stato alle Regioni della titolarità di risorse idriche da cui trarre energia? I problemi che si prospettano, insieme a qualche ricorso già avanzato come nel caso della Toscana, così come uno scenario del sistema energetico spezzettato in altrettante regioni, sta inducendo a più di una riflessione l’attuale Governo. E la corsa a spron battuto del Piemonte, con annesse previsioni a bilancio da parte di qualche Provincia dei futuri guadagni, potrebbe essere a dir poco azzardata.

Per capire l’origine di una situazione complessa, bisogna riandare all’esecutivo Cinque Stelle-Lega con quest’ultima che nel braccio di ferro sulle trivellazioni porta a casa come contropartita l’autonomia regionale nell’idroelettrico all'interno del decreto Semplificazioni. Il passaggio della titolarità dallo Stato alle Regioni della materia determina fin da subito una serie di problemi, tutt’altro che risolti. Indicativo il ricorso alla Consulta da parte della Toscana: se lo Stato cede il demanio alla Regione, le regole le decide quest’ultima. Il che vuole dire: come fare le gare e a chi attribuire i cespiti lo stabilisce l’ente. Invece la legge, conferendo la titolarità alle Regioni, mette una serie di paletti sia su come attribuire o rinnovare le concessioni e una serie di vincoli sulla ripartizione di canoni.

Il disegno di legge regionale, approvato in giunta, dovrà ottenere il semaforo verde di Palazzo Lascaris entro il 31 marzo, ma non è escluso che intanto la legge nazionale possa subire delle modifiche. Anche perché “è un fatto che siamo in presenza di una norma già all'attenzion della Corte Costituzionale” osserva Enrico Borghi, parlamentare del Pd cui il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia ha affidato il ruolo di consigliere speciale per la montagna e che si sta occupando di questo dossier, in vista di una nient’affatto improbabile modifica della legge. “La norma del precedente Governo è pasticciata”, aggiunge il deputato piemontese che spiega come “oltre che attraverso lo strumento della gara, nel sistema delle concessioni introduce il meccanismo delle società miste pubblico-private e qui viene a galla un problema enorme nel quale il Piemonte si sta infilando mani e piedi. Ovvero il tema del controllore e controllato”. Insomma, se la Regione decide non di fare la gara cui partecipano solo i concessionari, bensì per stabilire con chi farà poi la società pubblico-privata alla quale la stessa Regione dà la concessine, si pone un problema di non poco conto.

Altra questione che sta inducendo l’attuale maggioranza di governo a prevedere un periodo di proroga delle attuali concessioni con contestuale aggiornamento dei canoni, nell’attesa di predisporre insieme alle Regioni una nuova norma più chiara e meno irta di problemi, riguarda proprio l’energia gratuita per l’ente pubblico, annunciata dai leghisti in Piemonte. “Il valore dell’energia è stabilito da domanda e offerta, quindi se la Regione stabilisce un corrispettivo da versare sottoforma di energia gratuita e ne fissa anche il prezzo, sarà inevitabile un aprirsi di praterie per ricorsi da parte dei concessionari”.

Per non dire di come inevitabilmente quell’energia che non verrebbe pagata dalla Regione finirebbe per essere pagata dai cittadini nelle bollette dei concessionari. “Immaginare, da parte dell’attuale governo regionale, di poter evitare tutti questi problemi e addirittura prevedere una banca dell’energia, mi pare a dir poco un azzardo sulla pelle, anzi sulle tasche dei piemontesi” prosegue Borghi.

E se è vero, come pare, che lo stesso Matteo Salvini in un incontro riservato non molto tempo fa con gli amministratori del Veneto e del Friuli Venezia Giulia abbia tirato il freno a mano sulla questione dell’autonomia energetica delle Regioni, l’entusiasmo dei leghisti piemontesi sembra almeno un poco eccessivo.

“O si va avanti così e il sistema energetico si blocca, oppure si lavora tutti insieme per modificare la legge nazionale”, avverte Borghi. “Serve un’intesa tra Stato, Regioni ed enti locali e il mondo della produzione, per fare una moratoria e scrivere una nuova norma adeguata, compatibile con la chiusura dell’infrazione contestata dall’Unione Europea, facendo intanto pagare ai concessionari il valore effettivo dei canoni”.

Per il parlamentare del Pd, la proroga delle concessioni servirebbe anche “per andare in Europa a chiedere reciprocità: noi le gare le vogliamo fare, ma visto che non ci vogliamo far colonizzare da nessuno, e tra nove anni scadono le concessioni Enel, quando sarà imposto di fare gare anche alla Francia, all’Austria e alla Germania le faremo anche noi”. Nell’attesa, frenando la corsa, per le Regioni si prospetta l’idea da parte del Governo di concordare una normativa-ponte “che superi i limiti del decreto Semplificazione e che eviti un blocco del sistema e una ridda di ricorsi”. 

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