LOCKDOWN & BLACKOUT

"Un Paese segregato da politici in balia degli eventi"

Un altro giro di vite, ma "è impensabile tenere l'Italia in isolamento finché il pericolo non sarà scongiurato. Potrebbero volerci ancora mesi, molti mesi". Combattere il virus oggi pensando al domani. "A peste, fame et bello libera nos, Domine", dice il professor Cantamessa

All’inizio toccò a scuole, palestre e piscine, poi fu la volta di manifestazioni sportive ed eventi, cui seguirono negozi, bar e ristoranti. Questa notte Giuseppe Conte ha spento la luce anche nelle fabbriche. Si chiama lockdown e suona così simile a blackout. Quanto ci costerà quest’emergenza sanitaria e una quarantena a oltranza che colpisce nel cuore, nella testa e presto pure nelle tasche degli italiani? E soprattutto, lo sforzo varrà la candela? Secondo Marco Cantamessa, ordinario di Ingegneria industriale e dell’informazione al Politecnico di Torino “è impensabile tenere un Paese in isolamento finché il pericolo non sarà scongiurato”. In fondo potrebbero volerci ancora mesi, molti mesi. 

Il colloquio avviene prima delle ultime disposizioni del premier – annunciate via facebook alle 23,30 di ieri, con cui viene sospesa anche l’attività manifatturiera – ma non ne modifica l’impostazione, anzi. “A peste, fame et bello libera nos, Domine pregavano i frati durante il Medioevo – racconta il professor Contamessa – a dimostrazione che già a quei tempi la Chiesa metteva sullo stesso piano il rischio sanitario (la peste), quello economico (la fame) e poi quello sociale (la guerra). Oggi invece mi pare si stia affrontando solo l’aspetto sanitario di questa emergenza”. Le stime più pessimistiche parlano di un pil che nel 2019 potrebbe segnare una contrazione dell’8 per cento, il dato di gran lunga più basso dal dopoguerra a oggi. E tradotto vuol dire posti di lavoro che sfumano, famiglie senza reddito, consumi che precipitano in un circolo vizioso che rischia di travolgere tutti. “Questo lockdown potrebbe portare davvero alla fame – s’allarma Cantamessa –. Se le persone vengono tenute chiuse in casa, sempre più impaurite, rischiano di liquefarsi intere catene produttive. Perché in economia moderna non esistono settori essenziali, ogni filiera è composta da tanti anelli”. Un esempio? “Se vogliamo che il cibo, un bene essenziale, arrivi sugli scaffali dei supermercati è necessario che i camion abbiano i loro pezzi di ricambio, altrimenti si fermano”.

Cantamessa è stato presidente e amministratore delegato di I3P, incubatore d’impresa del Politecnico di Torino, il ventre in cui le start-up piemontesi vengono nutrite e plasmate prima di camminare da sole nella giungla del mercato. E lui di tecnologia se ne intende, per questo ancora non riesce a farsi una ragione di come l’emergenza sia stata affrontata dal governo italiano: “In Corea combattono il virus con le app, noi con i pdf e le autocertificazioni”. Si riferisce al modello delle tre “T” adottato in alcuni paesi asiatici a partire proprio dalla Corea del Sud: tracciare, testare e trattare. Un sistema basato sulla mappatura dei contatti di ogni paziente positivo in modo da effettuare i tamponi a tutte le persone con cui abbia avuto a che fare nei giorni precedenti ai sintomi per porle in isolamento. In Italia nulla di tutto ciò è stato fatto e forse adesso è tardi.

“Chi ci governa oggi è giustamente preoccupato per i contagi e i morti, ma dovrebbe anche pensare al domani” dice Cantamessa. E non è un caso forse che tra le critiche più aspre nei confronti di Conte ci sia proprio quella di essere in mano a un pool di esperti che di fatto ne detta la linea. Legittimo? “Certo, ma io vorrei sapere chi sono questi esperti – dice Cantamessa –. Un governo, in una situazione come questa, deve interpellare e tenere conto di tutti gli interessi in campo: il mondo economico, i giuslavoristi, eccetera. Poi è chiaro che la politica debba pesare i contributi di ciascuno sulla base del momento”.

Intanto, due settimane di restrizioni non hanno rallentato l’andamento dei contagi, almeno per come ci si aspettava. Il picco, fissato dal Governo al 18 marzo, si sposta ogni giorno più in là sul calendario e il sistema sanitario del Nord è a un passo dal collasso. “Siamo di fronte al fallimento di questa politica, che adotta misure draconiane e poi non è in grado di farle rispettare, così succube nei confronti dei tecnici, degli esperti e dell’apparato burocratico. Incisiva nel condizionare la vita di molti italiani con scelte dettate dall’emotività del momento e non da un vero piano d’azione”. Errori commessi a monte, un’impreparazione conclamata. “I nostri sistemi di gestione dell’emergenza forse non erano all’altezza: il fatto che non ci fossero terapie intensive, che la diffusione sia avvenuta anche negli ospedali, che i medici si sono ritrovati a lavorare a lungo senza le protezioni necessarie non possono essere tutti eventi frutto di un destino avverso”.

Insomma, con il lockdown per tutto il Paese il governo sembra voglia dare una risposta semplice a una domanda estremamente complessa? “L’emotività e la paura della cittadinanza, più che legittime, sembra vadano a braccetto con un atteggiamento per molti versi uguale di chi ci governa” dice Cantamessa che da giorni critica sui social l'approccio dell'esecutivo. E intanto il consenso di Conte cresce “con una popolazione che pare affetta da una sorta di sindrome di Stoccolma nei confronti di chi da settimane l’ha rinchiusa in casa” prosegue il professore. “Intendiamoci, io non dico che sia sbagliato rimanere nelle proprie abitazioni, sono le modalità che non capisco, la linearità con cui si prendono le decisioni come se un trentenne reagisse allo stesso modo di un anziano, come se la Lombardia e la Sicilia avessero lo stesso problema. In questo momento il Governo trasuda improvvisazione ed emotività e in questo viene apprezzato”. Ma fino a quando il Leviatano, lo Stato, potrà continuare ad applicare provvedimenti liberticidi nei confronti dei cittadini? “Lo può fare finché è l’unica strada possibile per salvaguardare la salute pubblica ma se diventa il metodo per supplire alla propria refrattarietà a soluzioni tecnologiche e logistiche moderne e alternative allora diventa inaccettabile”.

Oggi l’Italia è protetta dallo scudo economico dell’Europa. Non sfugge che la chiusura delle fabbriche, da parte di Conte, sia arrivata all’indomani dell’intervento da 750 milioni della Bce e della sospensione del Patto di stabilità sui bilanci dei singoli stati. Ma tutto questo ci salverà durante l’emergenza, e poi? “Noi siamo entrati in questa situazione che eravamo già in ginocchio, con un’economia in fase di stagnazione. Pompare soldi per garantire liquidità a imprese e persone può andare bene adesso, anche per tranquillizzare l’opinione pubblica e convincerla a fare ciò che le viene chiesto. Ma poi non si può ripartire con la stessa mentalità che ci ha portato a questa situazione: l’Italia dovrà diventare un terreno fertile per chi vorrà fare impresa, per chi vorrà ripartire e chi vorrà iniziare da zero. Servirà un cambio di mentalità: meno lacci e lacciuoli, meno autorizzazioni e burocrazia”. “Serve un cambio di mentalità” dice Cantamessa. In un Paese che da anni s’interroga su come redistribuire la propria ricchezza si dovrà tornare a ragionare su come crearla quella ricchezza”.

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