Lasciamo perdere il picco

Ma serve proprio così tanto sapere quando sarà il picco? Negli ultimi giorni, al farsi sempre più acuto l’impatto della quarantena sulla vita degli italiani, il picco è diventato oggetto di discussione, di speranza, di sogno. Soprattutto è diventato una certezza, matematica, solida, certa... un momento che arriverà, a dirla con Gaber, “oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente”. Di fronte a questo fenomeno e soprattutto ai quotidiani contrordini è necessaria una riflessione.

Dall’inizio della epidemia, da quando abbiamo iniziato a parlare di picchi da raggiungere, la rilevazione dei contagi non è stata omogenea e diffusa; in ogni regione ha le sue caratteristiche e la sua diffusione. Questo emerge chiaramente dai dati che ogni giorno pubblica la Protezione Civile. A ieri, per esempio in Veneto si contavano 83.627 tamponi eseguiti su 7.497 casi totali di infezione; in Piemonte 19.705 tamponi e 7.092 casi totali. Di fronte a questa disomogeneità è difficile trarre statistiche: è questo uno dei motivi dell’esternazione di Borrelli di qualche giorno fa. Se, però, non possono essere considerati sicuro specchio della realtà, cosa fare?

Indubbiamente, la prima più semplice soluzione è non cambiare il modello del nostro ragionamento. Intestardirsi come l’imperatore di Borges a volere un’impossibile rappresentazione precisa dei nostri possedimenti e, quindi, invocare la sospensione di diritti civili, politici e quant’altro, proporre stati di più o meno polizia, tracciamenti, droni e quant’altro. Questo è un processo che porterà sicuramente a numeri precisi, ma a cosa sarà servito, in un’Italia chiusa in casa? Soprattutto in un’Italia in cui sono schizzati i numeri dei consumi di alcol, di violenze domestiche e di Tso? Probabilmente ad aumentare paura, tensione, rabbia.

Altra sfida, difficile, è spostare il centro del nostro ragionamento. Smettere di ragionare solo sulle statistiche, come fossero l’unico oggetto di valore per capire il mondo attorno a noi, ed impegnarci a definire quali misure di contenimento sono effettivamente necessarie (mascherine, guanti, tute, file, etc.) per contenere il morbo e tornare rapidamente ad una normalizzazione dei rapporti sociali, dei movimenti, dei comportamenti pubblici e privati. Forse è meglio muoverci in uno scafandro, ma muoverci e ritornare ad un primo embrione di normalità, sconfiggendo paura e facendo ripartire il Paese. Complessivamente, l’apprensione da picco che viviamo oggi ci raccontano molto di una nostra Italia profondamente colpita da questa malattia, che proietta in questa data angosce e speranze. In un contesto in cui, però, i numeri tendono a tradire, forse è più opportuno abbandonare le speranze messianiche ed esplorare nuove vie di normalizzazione ancora aperte e per il quale sapere la data del picco non serve un granché.

*Michele F. Fontefrancesco, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche

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