Non ne usciamo coi piagnistei

No, presidente Boccia, è questione di stile: o ce l’hai o niente. Di fronte alla tragedia immane della strage del Covid-19 lei ha parlato quasi sempre di quanti soldi perderanno le imprese a fronte di una chiusura parziale per un periodo di qualche settimana: i famosi 100 miliardi. Non appena il decreto è diventato attuativo avete già chiesto la riapertura delle aziende. Certo, era in buona compagnia e sollecitato soprattutto da Veneto e Lombardia  e qualche piemontese sgomitante.

Ci avete spiegato che esistono le filiere interconnesse tra settori merceologici, che non si può chiudere solo parti di azienda o aziende di un settore e altre no. Mi chiedevo come mai invece quando chiedete la cassa integrazione lasciate a casa i reparti in crisi e gli altri lavorano riducendo gli addetti dei reparti interconnessi. Questo vale anche per la chiusura temporanea delle aziende sappiamo bene che, nel mondo globale, ci sono filiere produttive e logistiche interconnesse, bastava avere il coraggio, anziché avere abbondanti  “furbetti”,  di chiudere i reparti non indispensabili e fare lavorare in sicurezza quelli indispensabili.  

Facciamo qualche esempio perché mi sembra di capire che la flessibilità invocata dalle imprese per i lavoratori poi non vale per le imprese. Prendiamo quello più eclatante: Leonardo, azienda della difesa. Non credo che oggi servano il JSF o l’F35 (comunque bene la gestione delle attività tramite accordi sindacali specifici e unitari, ovvero gestire la filiera aziendale) ma sicuramente serve il C27J per trasporto militare. Occorre spacchettare i codici Ateco anche dentro le aziende.

D’altra parte la scelta, di questi giorni, di Fca di richiamare al lavoro, a Mirafiori, circa 60 addetti per attività non produttive sulla 500E e che sono dentro le tipologie Ateco oggi consentite (Codice Ateco72: “ricerca e sviluppo sperimentale nel campo delle scienze naturali e ingegneria”) dimostra che la gestione dei reparti e delle persone dentro un’azienda può essere differenziata a seconda della filiera o dell’attività.

Ricordo che Fca è uscita da Confindustria oltre dieci anni fa.

E non capisco perché la Fiom di Torino voglia portare il caso Fca in Prefettura se a Cameri, in Leonardo, firma per consentire una produzione militare che nulla ha a che vedere con le produzioni essenziali.

Avere la capacità di differenziare nelle aziende richiede però uno sforzo e una capacità di consenso ampia dell’imprenditore (e meno contraddizioni sindacali, non cisline!) nella sua impresa che non sempre è presente ma su cui occorre riflettere, in modo propositivo, perché questo fattore sovente mette in crisi la gestione dell’accordistica aziendale. Il tema del consenso e della rappresentanza e rappresentatività negli accordi, dal 2011, tra parti sociali, è solo misurabile per il sindacato? Proviamo a capire quanto rappresenta Confindustria. Intanto nei siti ufficiali si trova poco, però se prendiamo i pochi dati di Assolombarda e di Unioncamere Lombardia possiamo dire che le aziende associate a Confindustria nella Regione più industrializzata d’Italia è all’incirca il 20%. Sempre pronto a smentirmi se ci sono dati ufficiali.

Ricordo solo che il sindacato rappresenta oltre il 30% della forza lavoro e nei metalmeccanici siamo sul 40%. Forse è per questo che vi è una difficoltà a gestire le procedure sulla sicurezza Covid-19 firmate da Confindustria e Cgil-Cisl-Uil, forse si cavalca un’onda di tutta quella miriade di medie e piccole aziende che oggi si contendono il governo di Confindustria  e che vedono il Sindacato ancora come un “fastidio”. Basta leggere l’intervista di ieri al Presidente di Confindustria Lombardia, Bonometti. Al netto che un certo modo demagogo e populista di fare sindacato non è tramontato in alcune organizzazioni sindacali, anzi.

Tornando alla questione di stile e noi piemontesi ne sappiamo qualcosa, essendo quelli che avevano la culla dei carrozzieri, gli stilisti dell’auto. Gli Armani dell’auto “stilosa”, dalle linee armoniche e filanti, a parte la X1/9, ma anche delle utilitarie come la “squadrata” Panda. Ma, con stile, ci sono molti imprenditori silenti, anche con ruoli di primo piano, che hanno lavorato sodo per garantire percorsi e prospettive di salvaguardia delle aziende e dei posti di lavoro. Nella mia lunga carriera da sindacalista ne ho incontrati tanti. Gli invisibili operanti.

Come agire in prospettiva presuppone due questioni: la prima è dare per ineludibile una transitoria perdita economica di fronte al mercato mondiale che si ferma. Quindi smetterla di piangersi addosso sulle perdite. La seconda come ripartire e preparasi concordandolo, Covid-19 permettendo, con il Governo.  

Sul come ripartire, approfitto dei ragionamenti del mondo imprenditoriale, sull’impossibilità di chiudere le aziende adducendo le filiere trasversali. Partiamo da lì. Rilancio l’idea che le filiere di prodotto (fatte salve le eccellenze di nicchia) sono costituite, principalmente, da aziende di grandi dimensioni e a cascata le Pmi della fornitura. Allora ognuno  “adotti” la propria filiera. A fronte di un mese di fermo di una Pmi, quell’azienda ha bisogno che la grande impresa e le banche, gli dilazionino le scadenze, le multe, la sostenga nei finanziamenti, negli investimenti, nell’innovazione, nella gestione della burocrazia. La solidarietà di filiera deve prevalere sulla competizione.

Inoltre, la proposta dell’Amma di Torino di rinviare (a fronte dell’emergenza Covid-19) di un anno le restrittive misure di abbattimento delle emissioni di CO2 da parte dell’Unione Europea, che ho anche già messo in evidenza nei precedenti articoli, è una buona idea però non deve significare  rinviare investimenti, produzioni e scadenze progettuali ma dare “un fiato” alle imprese che altrimenti rischiano di soffocare tra mancate produzioni e iperinvestimenti nella R&D. Questo dovrebbe servire a mettere in atto una controffensiva per recuperare  anche il diesel, meno inquinante. Diesel che si può accoppiare benissimo con l’elettrico, quindi non alternativo ma aggiuntivo. Certo, però, che se si sceglie di far spiegare questa strategia all’assessore alle Attività Produttive della Regione il quale non ha “interpretato” bene i suggerimenti ricevuti creando confusione e scompiglio non è un buon inizio.

In ultimo, diamoci un obiettivo praticabile, concertato con gli esperti sanitari del Governo e il Governo stesso, su quando si può ripartire e lavoriamo solo su quella finalità, senza piagnistei quotidiani. Se ognuno di noi smette di pensare di essere il centro del mondo ma una parte del mondo, possiamo farcela.

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