FUORI DALL'EMERGENZA

Tracciamento e big data per "convivere" col virus

La tecnologia può contenere il contagio e mettere fine al lockdown. Il progetto Pepp-Pt e i piani del governo italiano. Intervista con il presidente dell'Isi Foundation Rasetti: "Incrociare i flussi di informazioni per arginare l'epidemia e avviare la ripresa"

Quali fasce d’età colpisce maggiormente il virus? Quali patologie pregresse gli spianano la strada? Come avviene il contagio? In quali aree geografiche e a che latitudini si diffonde più facilmente? Quali metodi di contenimento sono più efficaci? Una mole di dati enorme è quella che gli scienziati devono incrociare per rispondere a queste e a tante altre domande e aiutare così i governi a individuare le politiche migliori  per limitare al minimo lo sviluppo dell’infezione e consentire un progressivo ritorno alla normalità. L’evoluzione, in Italia, ci ha ormai portato oltre le ormai celebri tre T – tracciare, testare e trattare – che in Corea, e non solo, hanno consentito di contenere il contagio.

Mentre sta per concludersi il lavoro della pletorica task force, composta da oltre 70 personalità del mondo scientifico, allestita dal ministro dell’Innovazione, la torinese Paola Pisano, per analizzare e individuare i piani per una progressiva uscita dal lockdown, a livello europeo un gruppo di scienziati sta lavorando a una piattaforma che faccia da base allo scambio di dati anonimi e crittografati e allo sviluppo di app scaricabili in modo volontario. È il Pepp-Pt, acronimo di Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing. L’Isi Foundation è un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo che annovera scienziati del calibro di Alessandro Vespignani,docente di Informatica e Fisica alla Northeastern University di Boston dove dirige il Network Science Institute e con il suo team collabora attivamente con l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’Isi si occupa di mappatura dell’epidemia da oltre dieci anni e ha sede a Torino.

“Stiamo lavorando su una quantità enorme di dati, con l’obiettivo di creare protocolli e modelli utili ai governi per individuare sistemi e applicazioni in grado di programmare e gestire nel modo più sicuro possibile la ripresa dell’attività lavorativa” dice Mario Rasetti, professore emerito del Politecnico di Torino e presidente dell’Isi Foundation, istituto scientifico che dal 2009 analizza tutte le principali epidemie mondiali attraverso lo studio dei dati, coinvolto attivamente nel Pepp-Pt.

Professor Rasetti, partiamo dalla domanda più difficile: quando usciremo da questo incubo?
“Finché non avremo un vaccino non ne usciremo davvero e si parla di un’attesa almeno fino alla fine dell’anno. Ci sono tre laboratori nel mondo che lavorano alacremente e sono già iniziati i primi trial clinici, ma il vaccino richiede protocolli di test lunghissimi”.

Dovremo dunque stare chiusi in casa finché non avremo un antidoto?
“Per ora le misure di contenimento stanno dando risultati confortanti. Progressivamente torneremo alla vita di prima, ma guai ad accelerare i tempi e soprattutto a farlo senza un programma scientifico efficace”.

È di questo che si occupa il suo istituto?
“Il nostro metodo integra dati sanitari con dati che apparentemente hanno poco a che fare con la pandemia, ma sono fondamentali nel comprendere come si genera e riproduce il contagio, a partire dagli spostamenti delle persone”.

Ci faccia un esempio.
“Assieme alla società italo-americana Cuebiq abbiamo valutato in tempo reale gli effetti delle politiche di sanità pubblica in Italia nelle prime tre settimane di intervento (18 febbraio-10 marzo). I risultati mostrano come le restrizioni iniziali, che hanno coinvolto solo Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, hanno portato a una riduzione compresa tra il 10% e il 30% del traffico tra le province italiane. A seguito del blocco nazionale del 9 marzo, i flussi tra le province sono diminuiti del 50% o più, ovunque nel Paese. È stata inoltre osservata una diminuzione della distanza percorsa dagli utenti (circa del 49%) e dei potenziali incontri tra le persone (ridotti dell’8% durante la seconda settimana e di quasi il 19% nella terza)”.

Dati che servono per comprendere meglio, scientificamente, l’efficacia delle politiche restrittive e soprattutto come avviene il contagio.
“Esattamente. Più informazioni abbiamo di questo virus, sfruttando intelligenza artificiale, big data, applicazioni, modelli matematici e algoritmi, più possiamo capire come arginarlo”.   

In questo senso che cosa state facendo con il Pepp-Pt?
“Pepp-Pt è un progetto che nasce su impulso di una serie di scienziati che tutti i giorni si confrontano e collaborano. Nasce con lo scopo di mettere a disposizione dei Governi protocolli, modelli e procedure per consentire il tracciamento di dati fondamentali per comprendere l’evoluzione dell’epidemia, ma allo stesso tempo rispettando il diritto alla privacy del cittadino. Il nostro è un lavoro prettamente scientifico cui altri dovranno dare applicazione pratica”.

Perché l’Italia e buona parte dell’Europa sono così in ritardo su questo fronte?
“In Corea l’85% degli smartphone è Samsung. I Samsung hanno una funzione per cui se due apparecchi entrano in contatto a meno di un metro di distanza lanciano un segnale. Questo ha permesso un contact tracing più efficace. Apple e Huawei questa funzione non l’hanno voluta inserire per motivi di privacy”.

In che modo i dati che raccogliete possono aiutare i Governi nella gestione della Fase 2?
“Quando finirà il lockdown non andremo certo tutti in discoteca. Quali attività riapriremo? E chi saranno i primi che manderemo per strada? Faccio un paio di esempi semplici: sappiamo che la percentuale delle donne che si ammalano è decisamente inferiore agli uomini e che la popolazione più giovane reagisce meglio al virus. Potrebbero essere questi segmenti i primi a tornare al lavoro, con tutte le accortezze del caso”.  

Intanto ci sono studi secondo cui i contagi sono ben più di quelli certificati dai test. Secondo l’Università Statale di Milano sono almeno 5 milioni in Italia, il centro medico Santagostino parla addirittura di 11 milioni…
“Sono stime che ritengo verisimili, così com’è credibile che il virus circolasse in Italia già da novembre. Anche i morti sono sottostimati. Basti pensare che a Bergamo i morti per infezione polmonare sono il quadruplo rispetto allo scorso anno: persone cui non è stato fatto il tampone e restano fuori dalle statistiche sul Covid”.

Professor Rasetti, in queste settimane siete stati contattati dalla Regione Piemonte per pianificare una strategia a livello locale?
Li abbiamo contattati noi tempo fa, ma poi è finita lì. Il Piemonte all’inizio ha fatto meglio di altri, poi si è aperta qualche falla. Forse queste emergenze sarebbe meglio se venissero gestite a livello centrale”.

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