Il fattore Wit per la ripartenza

Leggo in un piccolo, illuminante saggio del 1996 di Leonardo Benevolo (“L’Italia da costruire. Un programma per il territorio”): “… dopo il bombardamento di Rotterdam del 14 giugno 1940, la municipalità incarica il 18 giugno l’ingegnere capo Witteveen di redigere il nuovo piano, ed entro il mese ottiene dal comandante dell’esercito, che ha la delega dei poteri dal governo in esilio, l’esproprio di tutta la zona centrale della città; Abercrombie e Forshaw progettano il piano regolatore di Londra durante gli attacchi aerei tedeschi. Una continuità di tradizione politica e culturale sorregge queste esperienze e crea la distanza mentale dalle difficoltà del momento.”

Con questa citazione, pur riferita ad un contesto estremamente diverso, mi pare siano molto in sintonia le recenti dichiarazioni di Claudia Porchietto e Carlo Giacometto, così come le richieste delle associazioni di categoria: proposte sorrette dalla stessa ispirazione di chi, in quel vero tempo di guerra, dava una lezione di vita e di senso delle istituzioni, attivandosi per la ricostruzione nel preciso momento in cui trionfava il suo esatto contrario. Certo, in Italia occorre fare i conti con la mancanza endemica di quella tradizione, per non dire mentalità, politica e culturale, indubbiamente più nordica che mediterranea: da noi la malattia del sistema è sempre stata la frammentazione dell’agire istituzionale, l’impossibilità di programmare con razionalità e persino con ragionevolezza, dimenticando così che governare, come scrive sempre Benevolo, “è una sfida nei tempi lunghi, dove ogni dettaglio è essenziale e qualunque semplificazione diventa disastrosa: tutti i calcoli e le mediazioni devono passare al vaglio di una progettazione globale, appoggiata a previsioni durevoli” e “ la politica deve creare la pausa momentanea perché questo avvenga nei modi corretti”.

Da queste riflessioni trae una valenza cruciale l’appello dei due parlamentari ad una ripartenza, che rappresenti davvero l’assunzione di una responsabilità generazionale, incardinata su un commissario straordinario per l’emergenza economica piemontese (chi meglio di Alberto Cirio?) e su un gruppo di pensiero e di competenze operative, in grado di predisporre, organizzare e avviare già ora, in piena turbolenza, la fase successiva della ricostruzione.

I punti proposti (il Piemonte come Zona Economica Speciale; burocrazia zero; fiscalità di vantaggio; infrastrutture strategiche in deroga al codice dei contratti pubblici; un grande piano di edilizia ospedaliera e scolastica; approvvigionamento finanziario anche attraverso l’emissione di “Piemonte Bond”) non solo sono condivisibili, ma costituiscono i cardini sui quali andrà riscritto il Piano di Competitività della Regione.

Ancora una considerazione. “Tempo di guerra” e “catastrofe” sono i termini che molti stanno usando per definire questo periodo tanto impensabile fino a poche settimane fa. Tuttavia, le parole vanno usate con somma prudenza, soprattutto nel contesto di un’incontrollabile comunicazione social, che alimenta a tamburo battente nevrosi e panico collettivi. Occorre fuoriuscire al più presto dal disorientamento, che inevitabilmente si è prodotto, offrendo una prospettiva concreta e di lungo periodo. Per far questo, però, bisogna prima conquistare psicologicamente quella “distanza mentale” e quella “pausa momentanea” rispetto agli avvenimenti in corso, che potrebbero persino essere fraintese come mancanza di umanità e di pietas. Se non fosse la stessa drammaticità del momento ad imporre la necessità di una visione pragmatica fondata sulla giusta combinazione e l’equilibrato dosaggio di empatia e strategia.

In questa dimensione assume una veste programmatica di governance l’articolo di Draghi sul Financial Times: la mobilitazione per una “causa comune”, cui ci richiama l’ex presidente della Bce, è a tutti gli effetti una nuova applicazione del suo “Whatever it takes”. Non è forse ora di tradurre in azione di governo una sorta di “fattore Wit” per affrontare le urgenze e offrire un futuro alla nostra economia disastrata? In inglese “wit” significa spirito, intelligenza, buon senso, arguzia. E di cosa la politica oggi può aver più bisogno?

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