EMERGENZA ECONOMICA

In 150mila rischiano il lavoro

L'allarme degli industriali di Torino e Piemonte che chiedono la riapertura "in sicurezza" delle fabbriche. Ravanelli: "Un lockdown prolungato è impensabile". Il 15% delle imprese potrebbe non riaprire dopo lo stop imposto dal Governo. I dati dell'indagine congiunturale

Gli effetti di un lockdown prolungato anche dopo Pasquetta potrebbero essere disastrosi per le imprese e questo avrà giocoforza ripercussioni gravi anche sull’occupazione. Per il numero uno di Confindustria Piemonte Fabio Ravanelli c’è il rischio che “un danno momentaneo possa trasformarsi in una crisi strutturale”, così come avvenne nel 2009. Le industrie italiane sono inserite in filiere internazionali e ancora oggi continuano ad avere richieste dai fornitori d’Oltralpe che prima o poi potrebbero rivolgersi altrove. E il crollo del fatturato si ripercuoterebbe inevitabilmente sui posti di lavoro. Per questo ancora una volta il mondo delle imprese chiede “una riapertura ordinata, solo per quelle aziende in grado di assicurare massime garanzie di sicurezza per i loro dipendenti”. In queste ore il premier Giuseppe Conte deciderà se estendere a un’altra settimana le restrizioni o avviare una progressiva riapertura, la cosiddetta Fase 2.

Intanto si parla di una recessione che quest’anni sarà come minimo intorno al 7-8%. “Una percentuale tra il 10 e il 15 per cento delle imprese potrebbe non riaprire più – dice Dario Gallina, presidente dell’Unione Industriale –. Si tratta soprattutto di quelle più piccole e che già prima dell’emergenza sanitaria annaspavano”. Secondo il direttore di via Fanti Giuseppe Gherzi tutte quelle che “non hanno chiuso in bonis il 2019 sono ad altissimo rischio”. Parliamo di coloro che si sono affacciati alla crisi con difficoltà conclamate nell'onorare i pagamenti. Il contraccolpo sull’occupazione potrebbe essere altissimo: tra le 100mila e le 150mila persone che in Piemonte rischiano di perdere il posto di lavoro.

Tra le province più colpite da questa crisi ci sono Biella, caratterizzata sul tessile, uno dei settori che ha chiuso quasi totalmente la propria attività, mentre regge Cuneo in cui si concentra gran parte dell’industria alimentare, l’unica a tenere botta, essendo produttrice di beni essenziali.

In questo particolarissimo momento storico, l’indagine congiunturale trimestrale, realizzata da Confindustria Piemonte, non può che registrare il crollo del clima di fiducia delle imprese piemontesi, travolte dall’emergenza pandemica. Il sondaggio è stato condotto nell’arco delle quattro settimane del mese di marzo: dunque in un periodo caratterizzato da una rapidissima, e in larga misura inattesa, escalation dei contagi e dei conseguenti provvedimenti restrittivi. 

Il peggioramento degli indicatori è eloquente e generalizzato. Nel comparto manifatturiero, quasi il 45% delle imprese prevede una riduzione della produzione, contro il 10% che si attende un aumento. Il saldo (pari a -29 punti percentuali) peggiora di 22 punti. Ancora più drammatiche le previsioni sugli ordinativi: il 50% sconta una contrazione. Era dal 2009, anno di picco della crisi scoppiata nel 2008, che non si registravano valori così negativi per produzione e ordini. Crollano anche export e redditività. Aumentano i ritardi nei pagamenti – un indicatore molto sensibile alle fasi di brusco deterioramento del mercato. Si impenna il ricorso alla cassa integrazione: quasi un terzo delle aziende prevede di essere obbligata a fare ricorso agli ammortizzatori sociali. Percentuali così elevate non si vedevano dal 2012-2013. 

I dati dell'indagine congiunturale

 

Un'analisi più dettagliata mostra come gli indicatori siano progressivamente peggiorati in conseguenza dell’aggravarsi dell’epidemia. Nella prima settimana di marzo il saldo ottimisti-pessimisti riferito alla produzione era di meno venti punti, poco lontano dal valore di gennaio; a fine mese è sceso a meno 70 punti. Tutti i settori produttivi sono stati colpiti dall’emergenza, in modo abbastanza omogeneo. Unica e parziale eccezione è il comparto alimentare, ma anche in questo caso, per la prima volta da anni, gli indicatori sono negativi. Anche il comparto dei servizi è stato coinvolto in pieno dalla crisi. Gli indicatori sono appena meno sfavorevoli di quelli del comparto manifatturiero. Tuttavia molto più marcato è il cambiamento di clima: una vera e propria doccia fredda, considerando che a gennaio il terziario operava in condizioni di mercato espansive, con attese molto positive per attività, ordinativi e occupazione. Isolata eccezione è il comparto Ict, senza dubbio per effetto dell’esponenziale aumento dello smart working.

A livello territoriale non emergono grandi differenze. Gli indicatori meno pessimistici sono riferibili a Cuneo, senza dubbio in conseguenza del maggior peso dell’agroalimentare. Tuttavia anche in questo caso il saldo ottimisti-pessimisti (-18 punti) è fortemente negativo e non trova immediati termini di paragone nel trend degli ultimi anni. Le valutazioni delle imprese torinesi sono perfettamente allineate alla media regionale.

Nel comparto manifatturiero, la percentuale di imprese che hanno chiuso l’anno con un aumento del fatturato (34%) è identica a quelle che hanno registrato una dinamica opposta. Positiva la redditività: il 66% delle aziende ha realizzato un utile di bilancio, contro il 10% che ha chiuso in perdita. L’indebitamento è risultato sostanzialmente stabile. Debole l’andamento degli investimenti: il 27% delle aziende ha aumentato la spesa per investimenti rispetto all’anno precedente, il 19% l’ha diminuita, mentre il restante 54% l’ha mantenuta costante o non è in grado di fare valutazioni. Migliore la performance del terziario, in linea con le indicazioni delle indagini condotte nel corso del 2019, che registravano condizioni di mercato brillanti. Il 42% delle imprese ha aumentato il fatturato; solo il 16% lo ha ridotto. Ottimi anche i risultati di bilancio: il 66% ha chiuso il 2019 in utile (contro l’8%). In riduzione l’indebitamento (9% di aumento contro 18%), nonostante il buon andamento degli investimenti: il 32% delle imprese ha aumentato la spesa rispetto al 2018 (contro il 15%).

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