EMERGENZA SANITARIA

"Fatto il possibile, attacchi ingiusti", l'Unità di Crisi risponde alle critiche

Nulla da rimproverarsi, l'organismo che sovrintende in Piemonte l'emergenza Coronavirus si autoassolve. La difesa (poco convincente) sulle Rsa dell'ex pm Rinaudo. Sui tamponi "non si poveva fare di più". Sventate truffe sugli approvvigionamenti

“Abbiamo fatto il possibile e forse anche qualcosa in più”. Schierati uno accanto all’altro, tutti i componenti dello stato maggiore dell’Unità di crisi si sono presentati questa mattina in conferenza stampa per difendersi dalle accuse ricevute in questi giorni. Un fuoco di fila partito dai sindacati dei medici, dall’Ordine dei camici bianchi, dagli infermieri, dall’opposizione in Regione. Particolarmente male hanno fatto gli attacchi arrivati “dai colleghi, dai medici”, “ci siamo sentiti colpiti alle spalle dalle persone con cui pensavamo di essere fianco a fianco a combattere”. Insomma, critiche ingenerose secondo il commissario Vincenzo Coccolo, chiamato nel bel mezzo dell’emergenza a sostituire Mario Raviolo alla tolda di comando. Un avvicendamento che secondo molti già la dice lunga sulle difficoltà incontrate da questo organismo nella gestione dell’emergenza. Rilievi, soprattutto quelli arrivati dal mondo medico, che “hanno fatto male, perché arrivate da colleghi medici dai quali non me l’aspettavo. Ci siamo sentiti colpiti alle spalle da chi avrebbe dovuto essere con noi a combattere”, ha aggiunto Roberto Testi, presidente del Comitato tecnico-scientifico.

Tamponi, Rsa, approvvigionamenti: è sempre lì che si finisce, quelle restano le principali criticità riscontrate finora. Sui test diagnostici – “una discussione da bar interessante” come la definisce Testi – la linea di difesa cambia in parte rispetto a quella adottata finora, secondo cui i pochi test effettuati erano per seguire scrupolosamente le indicazioni dell’Istituto superiore di sanità che prescriveva i tamponi solo ai sintomatici. Ora il motivo sembra essere un altro: “In questa regione il 22 febbraio c’erano due laboratori che potevano eseguire 400 tamponi al giorno. Nello stesso periodo in Veneto ce n’erano già 14 – premette Coccolo –. Abbiamo rincorso la necessità di fare esami virologici e oggi abbiamo 18 laboratori attivi che ci consentono di eseguire 5mila test giornalieri”. E poi una prima ammissione: “La scelta del Veneto è stata corretta ma noi non potevamo farla”.

Sui tanti focolai comparsi nelle Rsa “sapevamo tutti che quello sarebbero stato il problema” prosegue Coccolo. Da una parte i contagi all’interno spesso non sono stati isolati tempestivamente, non si è intervenuto per verificare tempestivamente cosa stesse succedendo in molte di quelle strutture dove oggi si contano i morti e poi c’è quella delibera (doppia) dell’assessore alla Sanità Luigi Icardi in cui si autorizza il trasferimento di malati Covid proprio nelle Rsa. “Il problema non sono sati i tamponi – afferma Coccolo – perché il paziente sintomatico in Rsa deve essere isolato. E non può essere portato in ospedale perché sarebbe peggio”. Non tutte queste residenze, però, avevano la possibilità di isolare i propri pazienti e poi, aggiungono dall’Unità di crisi, “ci sono state Rsa che hanno lavorato bene e altre che hanno lavorato meno bene”.  Ma chi ha controllato?

Rispondendo alla domanda dello Spiffero sul perché, tra le tante prescrizioni impartite alle Asl, l’Unità di Crisi non abbia inserito anche l’attivazione delle commissioni di vigilanza sulle Rsa, Testi ha risposto che quell’organismo agisce una volta l’anno per la verifica delle situazioni amministrative e che sono altri gli organi che, semmai, possono essere chiamati ad intervenire, come i Nas. L’articolo 26 della legge regionale 1-2004, però, tra i vari compiti della commissione indica proprio “la verifica ed il controllo dei requisiti strutturali, tecnici e gestionali, previsti per la tipologia di appartenenza dei servizi e delle strutture, dalle norme nazionali e regionali, nonché il controllo e la verifica della qualità dell'assistenza erogata nei confronti della generalità degli assistiti mediante indicazioni tecniche ed operative che consentano la revisione della qualità delle prestazioni e dei servizi per il miglioramento continuo degli stessi”. E quando, se non in circostanze come quella indicata già da fine gennaio con lo Stato di Emergenza Nazionale e con la successiva costituzione dell’Unità di Crisi, si sarebbero dovuti attivare quei controlli? Forse Testi, indicando le ispezioni annuali, ha confuso con quanto contenuto nello stesso articolo al punto in cui si prevede che “Annualmente la Giunta regionale presenta una relazione al Consiglio regionale in merito alle attività di vigilanza svolte sul territorio”. Tant’è che proprio a fine marzo alcune Asl, tra cui quella di Alessandria, la commissione l’hanno attivata per una verifica nelle Rsa.

La difesa sulla delibera regionale che autorizza i trasferimenti dei malati spetta invece al capo dell’area giuridica dell’Unità di crisi, l’ex pm Antonio Rinaudo, il quale ribadisce la tesi già espressa da Icardi, secondo cui le strutture da tenere in considerazione erano quelle libere (particolare che però non emerge nell’atto) oppure in grado di garantire percorsi separati ai pazienti interni e a quelli infetti.  

Lo stesso Rinaudo racconta anche le difficoltà negli approvvigionamenti che talvolta assumono i contorni della spy story. Se per Testi, però, i tamponi erano chiacchiere da bar, per l’ex pm “le critiche sono state fondate sulla sabbia” perché “o le critiche hanno riscontri oggettivi o si parla a vanvera”. In attesa dell’incidente probatorio, Rinaudo racconta l’aneddoto di un intermediario in Cina che “prima ci disse di versate la quota al momento dell’ordine, e parliamo di cifre importanti. Noi abbiamo risposto di no e nel frattempo abbiamo attivato delle indagini su questo personaggio”. Poi continua: “Lui allora ci ha detto che avremmo potuto pagare non all’ordine, ma al carico. Ma io non mi fidavo e ho chiesto prima di visionare la merce o in alternativa una lettera di fidejussione. Lui ha ribattuto che aveva una società americana in grado di farsi da garante” e nel caso di merce non conforme “era disposta a rimborsare il denaro”. Conclude Rinaudo: “Ho attivato un’indagine su questa società e ho scoperto che aveva sede in un sottoscala di una palestra e l’amministratore delegato era un bodyguard. Questo è lo scenario in cui stiamo lavorando”. Insomma, altissimo rischio di truffe, soprattutto se ci si rivolge direttamente al mercato estero per ridurre i costi ed evitare le procedure standard previste da quello interno.

L’Unità di crisi rivendica il lavoro svolto, non solo incrementando da 400 a 5mila i tamponi giornalieri ma anche sulle terapie intensive. “Avevamo preparato un triage codice blu, se non avessimo avuto posti sufficienti di terapia intensiva. Per fortuna non abbiamo dovuto utilizzarlo, perché da 280 i posti di terapia intensiva sono diventati 600. Questo ci ha permesso di evitare di non rianimare delle persone...”. ha spiegato Testi.