CORONAVIRUS & POLITICA

Tagli alla Sanità? Una fake news

I pasticci del Piemonte nella gestione dell'emergenza Covid non sono giustificati da una riduzione della spesa sanitaria, come afferma Cirio. Negli ultimi vent'anni, infatti, è (quasi) sempre aumentata. Il problema è semmai come sono stati impiegati quei soldi

L’emergenza sanitaria in Piemonte? Per Alberto Cirio è colpa delle sforbiciate ai bilanci della Sanità. “Il taglio alla sanità pubblica in Italia è stato un grave errore” ha ripetuto in più occasioni nei giorni scorsi il governatore, secondo un mantra sposato in toto, se non altro per scaricarsi una parte di responsabilità, dall’assessore alla Sanità Luigi Icardi. Ma è proprio così? Pare di no. Basti pensare che il fondo sanitario nazionale è passato da 71,3 miliardi del 2001 ai 117,4 miliardi di quest’anno. Un trend di crescita costante che ha avuto un solo arresto significativo, tra il 2012 e il 2013, passando da 108 a 107 miliardi, nel momento più drammatico per le casse nazionali, quando a Palazzo Chigi era salito Mario Monti e la politica parlava con la voce dell’austerità. Anche per il Piemonte il trend è stato in salita: nel 2015 la ripartizione tra le Regioni aveva portato nelle casse di piazza Castello 7,8 miliardi, saliti quest’anno, a distanza di un lustro, a 8,3. Certo, parliamo in termini nominali, bisogna tenere conto dell’inflazione, dell’aumento dei costi dei prodotti elettromedicali o dei farmaci innovativi, dell’invecchiamento della popolazione, ma una cosa è certa: tagli non ne sono stati applicati, anzi. Altra cosa è dire che si poteva fare di più: secondo gli esperti il Servizio sanitario nazionale è sotto finanziato per almeno 10 miliardi. Nell’ultimo focus redatto dall’Ufficio parlamentare di bilancio si legge che, a livello pro capite, negli ultimi vent’anni, la sanità tedesca ha raddoppiato le proprie risorse, da 2.500 dollari a 5mila, mentre l’Italia è passata da 1.500 a 2.500, non abbastanza, forse, per sostenere spese sempre più alte. Ma parliamo comunque di aumenti di spesa.  

Per comprendere meglio il caso Piemonte, però, bisogna innanzitutto tenere conto che “delle quattro Regioni più colpite da Covid siamo l’unica che viene da sette anni di piano di rientro” spiega Gabriella Viberti, ricercatrice dell’Ires, l’Istituto di ricerche della Regione. Questo, certo, ha imposto una riorganizzazione della sanità regionale e una riduzione complessiva della spesa: ma non perché siano diminuite le risorse, più banalmente perché per anni il Piemonte ha male utilizzato i fondi e accumulando un disavanzo monstre, con cui a un certo punto ha dovuto fare i conti. Il Piano sottoscritto dalla giunta di Roberto Cota prevedeva un contenimento dei costi per 162 milioni nel 2013 e, in modo cumulativo, di 248 milioni per il 2014 e 360 per il 2015. Una scure con la quale si è ritrovato a fare poi i conti Sergio Chiamparino, che ne è uscito nel 2017. È un po’ come se una famiglia accumulasse per anni debiti vivendo al di sopra delle proprie possibilità e poi, pur a fronte di uno stipendio che per entrambi i coniugi è rimasto inalterato, o anzi addirittura un po’ aumentato, si ritrova a dover tirare la cinghia per restituire quei debiti. I due coniugi non potranno certo dare la colpa al rispettivo datore di lavoro.

Tutto ciò cosa ha provocato? Che dal 2010 al 2018 Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno incrementato la spesa pro-capite per la sanità tra il 7 e l’11 per cento, mentre il Piemonte l’ha vista crescere solo del 2,5 per cento. Intanto le altre regioni hanno potuto investire e migliorare i propri servizi (non è un caso che in quegli anni è aumentata la cosiddetta mobilità passiva), mentre il Piemonte arrancava. E cosi anche il Piemonte, come tanti anziani caduti nella battaglia contro il Covid, si è presentato più che acciaccato al cospetto del virus.

Per riorganizzare la rete ospedaliera secondo logiche di efficienza e risparmio la giunta Chiamparino approvò la famigerata dgr 1-600 del 2014, che ridusse i posti letto e fece infuriare sindaci e cittadini. Un provvedimento che, tuttavia, ha un che di razionale, tenendo conto della contrazione del 12% del tasso dei ricoveri che in Piemonte sono passati da 137,7 ogni 1.000 residenti nel 2013, a 122,8 nel 2017.Tuttavia “questo atto avrebbe dovuto camminare parallelamente con la riforma della medicina territoriale, contenuta in un'altra dgr, la 26-1653 del 2015, ma non ha mai trovato piena compiutezza per mancanza di risorse” spiega ancora la dottoressa Viberti. Sta qui una delle falle nella gestione dell’emergenza in Piemonte? L’assessore Icardi è pronto a giurarci, ma a sentire chi c’era prima “il problema è che non hanno saputo contenere il contagio attraverso i tamponi”. 

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