I dogmi grillini viaggiano in metro

Quando ben due dogmi contrapposti si scontrano nella gestione di una città il rischio che si sprofondi nell’immobilismo è altissimo. Più o meno è quanto sta accadendo per la realizzazione della seconda linea della metropolitana di Torino, bloccata da quattro anni alla fase di progettazione preliminare. Ostaggio di un ideologismo irrazionale che ancora guida buona parte degli amministratori M5s. Per la maggioranza che sostiene (e spesso zavorra) Chiara Appendino la cosiddetta Metro 2 non dovrà contare sui soldi dei privati: la ragione “tecnica” fornita dall’assessora alle Infrastrutture Maria Lapietra è che le rate del canone per la gestione sarebbero troppo alte e quindi insostenibili; in realtà la questione è squisitamente politica e sta nel dna di un movimento che ha sempre considerato il privato brutto, sporco e puzzolente. In quest’ottica anche un treno diventa bene comune e va realizzato e gestito solo con fondi pubblici (in un momento storico in cui le casse pubbliche sono fatalmente vuote). Attenzione, però, perché il nemico non è solo il privato, ma anche il famigerato debito. Quello che i grillini hanno ereditato da ventitré anni di centrosinistra a Palazzo Civico, quel debito che tarpa le ali alla sindaca, costretta al rigore per la megalomania di chi l’ha preceduta. Almeno stando alla retorica che ci hanno propinato finora.

Il problema è che per realizzare una grande opera ci sono solo due strade: si può intraprendere una partnership coi privati, che la finanziano e poi rientrano dell’investimento attraverso un canone richiesto per la sua gestione, oppure l’ente pubblico può accendere un mutuo e realizzarla da sé. Tertium non datur. Da quattro anni il balletto di questa amministrazione va avanti con Appendino che vorrebbe affidarsi ai privati e studia sistemi innovativi di project financing per convincere i suoi, e la maggioranza che blocca tutto, spalleggiata dall’assessora Lapietra. Il tempo passa e, nonostante il regalo immeritato (quando non era stato approvato ancora neanche un progetto preliminare) del premier Conte, che ha stanziato sulla fiducia e in nome di una comune appartenenza politica 828 milioni, a Palazzo Civico si continua a litigare.

Ora, dice qualcuno, il dado è tratto: attraverso un finanziamento di 600 milioni di Cassa depositi e prestiti il Comune co-finanzierà la Metro 2 e grazie agli oltre 800 milioni del Governo riuscirà a realizzare il primo tratto tra Rebaudengo al Politecnico. La tagliola del debito scatterà all’entrata in funzione della linea, assicurano i Cinquestelle. Esattamente quel che fece a suo tempo Sergio Chiamparino, quando partecipò al 40 per cento alla realizzazione della prima linea di metropolitana. È buona parte da lì che nasce il debito monstre di Torino (ma non solo, per carità). La capogruppo Valentina Sganga lo dà già per fatto: “Si accederà a un mutuo con Cdp a tassi agevolati e con la possibilità di un preammortamento, cioè di iniziare a pagare le rate ad opera completata”. Cita l’economista tanto caro agli statalisti Keynes, parla con disinvoltura di “una nuova stagione per il post coronavirus dove dovremo spezzare le catene del debito e dove dovremo finirla di dire che certe manovre non si possono fare perché i vincoli di equilibrio finanziario non lo permettono. Quei vincoli hanno reso Torino il capoluogo più povero del Nord e hanno frenato ogni progettualità che non fosse legata ad un aiuto dei privati o degli enti sovraordinati”.

Una giravolta a 180 gradi: non si parla più dell’irresponsabilità di chi fa i debiti, ma delle catene da spezzare, non si capisce bene come. E soprattutto, prosegue Sganga “tornare a gridare a gran voce che serve rivedere le regole stringenti della finanza pubblica locale a partire dal pareggio in bilancio, che servono compensazioni per estinguere i debiti pregressi perché pensare di rimanere imprigionati in questa situazione senza possibilità di nuovi investimenti significa condannare la città ad una povertà senza fine”. Sembra di sentire il leghista No Euro Claudio Borghi, eppure in questi anni dovrebbe aver imparato, la capogruppo Sganga, che al di là di tanta retorica e tante “grida” i debiti si pagano.

Oggi Palazzo Civico ha circa 2 miliardi e mezzo di debiti e chissà quanto crescerà dopo il Coronavirus. Non è un caso che a ribattere a Sganga arrivi subito la vicepresidente della Sala Rossa – anche lei grillina, benecomunista a oltranza, No Tav, No privati, No debito – Viviana Ferrero: “Io non ho tutte queste certezze. Vedremo quanto la crisi economica inciderà  sui conti del Comune a fine anno, solo allora potremo decidere se questa operazione possa essere presa in considerazione”. E così passeranno altri mesi, il tira e molla prosegue. È più brutto il debito o i soldi dei privati?

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