EMERGENZA SANITARIA

Caos tamponi, positivi "dimenticati"

Quattro giorni dopo l'esito, nessuna informazione a una paziente. Dal servizio dell'Asl di Torino non è stato assunto alcun provvedimento, vane le richieste del medico di base per disporre la quarantena. E purtroppo non sarebbe un caso isolato

Quanto ci vuole per fare una telefonata, dire che l’esito del tampone è positivo e disporre la quarantena per il paziente e i suoi famigliari conviventi? Anche quattro giorni. E forse più se la storia che raccontiamo, ferma a ieri sera, continuerà facendo emergere un aspetto decisamente negativo nella gestione di un servizio di estrema importanza, ma soprattutto con conseguenze potenzialmente gravissime per la salute pubblica. Non si spariranno più le mail, stando alle ripetute rassicurazioni, ma al Sisp dell’Asl Città di Torino resta altro che pare proprio non funzionare come dovrebbe. Se non si perde più la posta elettronica con le richieste dei medici di base per i tamponi, si perde tempo prezioso nel comunicarne l’esito.

È il 18 aprile quando parte la richiesta del medico di famiglia al Sisp per far eseguire un tampone su una giovane donna. Accusa sintomi ed è stata in contatto con una persona di cui si è accertata la positività al coronavirus. La dottoressa comunica subito tutto al servizio e, quattro giorni dopo, il 23 viene eseguito il test. Nel frattempo è lei a consigliare vivamente alla paziente, non potendo per legge disporre l’isolamento, di rimanere in casa e ai famigliari di evitare ogni contatto. Nessuna indicazione dal Sisp. Che non si fa sentire neppure il giorno successivo quando sarà il medico di famiglia, un po’ per caso un po’ per scrupolo professionale, a guardare sulla piattaforma informatica se l’esito del tampone è già stato inserito.

È così. Già la mattina del 24 il responso è caricato nel database: positivo. La dottoressa chiama subito la sua paziente e lì scopre che dal Sisp, struttira che dipende dal Servizio di Medicina Legale diretto da Roberto Testi, non è stato ancora comunicato nulla. La tempestività dovrebbe essere uno degli elementi fondamentali per arginare il contagio, soprattutto quello familiare che ormai da giorni tutti gli esperti indicano come l’elemento più critico, insieme alla Rsa, di questa fase di lockdown.

Ritardi nell’esecuzione dei tamponi, persone costrette ad aspettare settimane per il secondo test a conferma del primo con esito negativo dopo la guarigione, tamponi che non si trovano più e devono essere rifatti. Non casi sporadici, purtroppo. Come non pare affatto esserlo quello raccontato nei dettagli dal medico di famiglia torinese. Quando riesce a parlare con l’operatore del Sisp per chiedere conto di quella mancata sollecita comunicazione alla persona risultata positiva, si sente rispondere che ci vuole almeno un giorno o due. Ore, addirittura giorni in cui il contagio può propagarsi e nessuno sa con che dimensioni.

La dottoressa sa che i genitori della sua paziente lavorano in un servizio pubblico essenziale, potenzialmente e non solo, visto quanto successo in questa epidemia, luogo dove asintomatici che potrebbero risultare positivi per lo stretto contatto con il famigliare rischiano inconsapevolmente di trasmettere il Covid 19. Lei, come tutti i medici di medicina generale, non può disporre l’isolamento, certificare ai datori di lavoro l’impossibilità a prestare servizio: tutto questo è stato messo in capo ai Servizi di Igiene e Sanità Pubblica, presumendo siano sempre in grado di farlo. E con quella rapidità che è indispensabile. Ma che in questo caso manca. La dottoressa monitora a distanza la sua paziente, raccomanda la massima cautela e attenzione, ma di più non può fare. Ieri l’altro, domenica, alle 13 e 30 nessuno dall'Asl la cui guida è affidata al commissario Carlo Picco aveva ancora contattato la giovane donna per informarla ufficialmente dell’esito del tampone e, contestualmente, dare disposizione ai famigliari, anche e soprattutto in merito alla loro presenza sul posto di lavoro.

Passa un altro giorno, ieri il medico di famiglia torna a sollecitare spiegazioni al Sisp. Riceve l’ulteriore conferma che nessuna comunicazione è stata fatta alla sua paziente. Fa un’altra telefonata. Questa volta ai carabinieri. La Procura della Repubblica ha appena costituito il pool anti-Covid. Nessuno può dire se questo caso, non l’unico purtroppo, approderà lì. Certo, chi ha la responsabilità di un servizio da cui dipende la salute dei cittadini non deve aspettare l’eventuale azione della magistratura e non dovrebbe nemmeno attendere che siano i medici di famiglia a scoprire – come già accaduto con le mail scomparse – che qualcosa non funziona. Se nel caso precedente si è data la colpa alla casella di posta troppo piena, stavolta saranno mica le linee telefoniche ad essere intasate?

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