FASE 2

Ogr nella rete di Covid Hospital

Fino alla fine dell'anno rimarrà attiva la struttura realizzata nelle ex officine ferroviarie. Nei piani della Regione la destinazione dei nosocomi privi di Pronto soccorso alla specifica cura dei pazienti affetti dal coronavirus. Monchiero: "Riprendere la normale attività"

Da ospedale da campo a Covid Hospital di riferimento per Torino. Sembra questo il destino della parte delle ex Ogr allestita a metà aprile e in meno di due settimane per ospitare una novantina di posti letto e alleggerire, nel periodo più critico dell’emergenza, le strutture ospedaliere della città. Nel resto del Piemonte oltre a quello di Tortona, primo ospedale dedicato alla cura dei pazienti colpiti dal virus, ne saranno realizzati altri, quasi certamente trasformando alcuni di quei presidi che negli anni hanno perso parecchi servizi e dove non esiste più il Pronto Soccorso.

Se in Lombardia il governatore Attilio Fontana è intervenuto con durezza per spazzare via ogni ipotesi, a partire da quella del direttore della rianimazione del policlinico Antonio Pesenti, di chiudere l’ospedale costruito alla Fiera di Milano in Piemonte per la struttura analoga il problema non si pone proprio. La task force guidata da Giovanni Monchiero e incaricata di rivedere la rete ospedaliera adeguandola alle nuove necessità ieri è tornata a riunirsi e pur essendo il lavoro ancora nella fase di analisi e di predisposizione di un modello standard di Covid Hospital, pare pressoché certa l’indicazione che verrà data circa la struttura sanitaria delle ex officine ferroviarie, dove attualmente ci sono ancora circa ottanta ricoverati.

“Se non si realizza un sistema flessibile, che abbia delle aree utilizzabili in caso di necessità, l’attività normale degli ospedali non la si riprende mai”, spiega l’ex parlamentare, a lungo direttore di aziende sanitarie che dopo aver gestito l’allestimento dell’ospedale di Verduno è stato chiamato dal governatore Alberto Cirio ad analizzare l’attuale situazione ospedaliera e proporre una sorta di riforma dettata dall’emergenza e dalla necessità di trovare la rete piemontese pronta nel caso la situazione dei contagi torni a farsi critica.

Contemperare la necessità di avere posti dedicati e letti di terapia intensiva per fronteggiare il coronavirus con quella di un ritorno alla piena normalità per la cura di tutte le altre patologie: questo è ciò che deve garantire il sistema ospedaliero piemontese. Da qui lo schema che dovrebbe portare, nel resto della regione non certo alla costruzione di nuove strutture da adibire alla cura dei pazienti Covid, vista la necessità di operare in tempi strettissimi, bensì a una riconversione di alcuni ospedali “dove l’attività è stata ridotta di molto, presidi che non hanno più il Pronto Soccorso e che proprio per queste loro caratteristiche presentano la connotazione per poter diventare Covid”, spiega Monchiero.

La strada è, dunque, quella verso una rete di Covid Hospital, strutture interamente dedicate alla terapia per curare gli effetti del virus come è Tortona e com'è stato Verduno, consentendo quindi l’applicazione di quei percorsi e quelle procedure che come si è visto è estremamente difficile e comunque sempre rischioso mettere in atto in ospedali dove bisogna continuare e, in molti casi, tornare a prestare le cure per tutte le altre patologie.

Il tempo a disposizione della commissione non è molto. Non solo perché nessuno è in grado di assicurare con certezza che la curva dei contagi continuerà a scendere nelle prossime settimane, ma anche perché “se, come tutti temono, in autunno ci sarà una seconda ondata bisogna essere pronti per evitare potenziali contagi ospedalieri”.

A dettare l’agenda della task force affidata al manager sanitario di lungo corso ci sono le disposizioni contenute nel decreto annunciato l’alto ieri dal premier Giuseppe Conte. Entro un mese dalla sua pubblicazione, le Regioni dovranno avere pronto il piano con il raddoppio delle terapie intensive, dei posti letto Covid e di tutte quelle misure che, come sottolinea Monchiero, “non sono indicazioni, ma disposizioni cogenti, obblighi”.

Ieri la giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Sanità Luigi Icardi, ha recepito gli atti di indirizzo per la Fase 2 dell’emergenza sanitaria, tra i quali ci sono anche le misure rivolte sia alla graduale ripresa delle attività sanitarie, dalle chirurgiche alle ambulatoriali, da quelle specialistiche all’assistenza territoriale. Proprio dal rafforzamento dalla medicina del territorio, cui sta lavorando l’altra task force quella presieduta dall’ex ministro Ferruccio Fazio, può e deve arrivare una risposta efficiente in grado di ridurre i ricoveri, invertendo di fatto quel che è accaduto all’esplodere dei contagi e nelle settimane successive. Intercettare, aumentando in maniera veramente importante il numero dei tamponi, i soggetti positivi, isolarli immediatamente e nei casi sintomatici intervenire subito con terapie domiciliari, com’è stato dimostrato, riduce decisamente l’ospedalizzazione.

Dai dati del primo protocollo attuato in Piemonte per il trattamento domiciliare, “Covid a Casa”, nel distretto di Acqui TermeOvada, emerge come su 340 pazienti sintomatici sia stato necessario il ricovero solo per 22 contro una stima dell’Organizzazione mondiale della sanità di 68 e a fronte di una mortalità attesa dalla stessa organizzazione del 3,6% il protocollo applicato nell’Asl alessandrina si sia registrato un tasso di decessi del 2,6%. Anche in questo caso, c’è qualcosa che non funziona come dovrebbe e, guarda caso, riguarda ancora una volta i tamponi. Su 340 pazienti sintomatici sono stati eseguiti soltanto 281 test e di questi, 22 non si è saputo dove siano finiti.

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