FASE 2

"Fare subito tamponi a tappeto"

Nuovo appello promosso dai professori torinesi Ricolfi e Valditara e sottoscritto da 150 studiosi, tra i quali il virologo Crisanti. Si potrebbe partire con un protocollo che coinvolga le aziende. "Non vi sono impedimenti insuperabili, ma occorre la volontà del Governo"

“Fare subito tamponi nasofaringei a tappeto”. Lo chiedono 150 scienziati per garantire una maggior sicurezza nella Fase 2. L’appello era stato lanciato ai primi di maggio dal virologo Andrea Crisanti, dai professori torinesi, il sociologo Luca Ricolfi e il giurista Giuseppe Valditara, ed oggi è arrivato ad essere condiviso da 150 esperti. Dopo la missiva alcuni hanno contestato l’efficacia del metodo “a tappeto” per contrastare la pandemia creata dal Covid-19. Ora a supporto delle tesi dell’appello, arriva un documento redatto da Francesco Curcio, professore di Patologia generale all’Università di Udine, da Paolo Gasparini, docente di Genetica medica all’Università di Trieste, da Giovanni Deriu, già prorettore dell’Università di Padova e ordinario di Chirurgia vascolare, con l’analisi statistica di Dario Gregori, dell’Università di Padova. Secondo il protocollo nelle grandi aziende è possibile eseguire il tampone a un gruppo di 10 o 20 addetti, selezionati “in modo strettamente casuale” a seconda di fasce d’età e caratteristiche dell’azienda, per ottenere una previsione precisa fra il 2% e il 4%, corrispondente alla probabilità che se in una azienda fossero osservati zero casi, ce ne sarebbe in realtà almeno uno positivo tra i restanti. Il protocollo prevede inoltre un meccanismo di ricampionamento, secondo cui un’azienda può essere selezionata ripetutamente: in caso di una seconda valutazione negativa l’accuratezza della precisione diventerebbe inferiore allo 0,002%.

Dalle aziende al resto della popolazione. “Il tampone nasofaringeo/orofaringeo è l’unico esame che può essere fatto per stabilire il contagio da coronavirus, lo stato di malattia in cui si trova l’infettato e il livello di contagiosità — spiega il professor Gasparini — e l’Italia ne ha sinora eseguiti un numero inferiore alle esigenze per ripartire in sicurezza. Serve identificare precocemente il maggior numero possibile di positivi e i loro contatti, evitando che R0 ritorni a valori che porterebbero al lockdown”. Una delle obiezioni è la fattibilità pratica di così tanti test. “È invece concretamente possibile — dice Gasparini — perché gli italiani attivi sono 38,6 milioni e si potrebbe realizzare un target di 20 milioni di tamponi, raggiungendo più della metà della popolazione attiva”. Uno sforzo, comunque, titanico per un territorio così vasto. “Ci potremmo focalizzare sulle aree a rischio maggiore – prosegue Gasparini – favorendo il turismo e proteggendo i luoghi di villeggiatura, i porti e gli aeroporti”.

C’è anche la questione del tempo. “È indispensabile concentrare i test in 15 giorni, il che significa farne fare 1.330.000 al giorno da personale medico – argomenta il professore –. Ognuno di loro ne può eseguire 100 al giorno e ne servono 13.300”. Un numero alto. “Si potrebbero reclutare i 35 mila specializzandi o i 9 mila medici laureati e abilitati in attesa di una formazione futura”.

Servirebbero anche 20 milioni di tamponi. “La ditta leader al mondo è italiana e dovrebbe essere in grado di fornirli – continua – e poi lavorando in modo manuale si possono processare 96 campioni al giorno per operatore. Quindi servono 13.900 tecnici/biologi da reperire magari tra ospedali e università. Si possono impiegare anche sistemi robotizzati aperti, 24 ore su 24, portando la produttività a 700 campioni per sistema al giorno. Servirebbero 1.900 robot e 3.800 operatori. Per i reagenti, i robot aperti utilizzano quelli prodotti da decine di ditte per le quali, al momento, non esiste difficoltà di reperimento sul mercato Se una parte delle analisi venisse fatta con i robot chiusi, sviluppati esclusivamente per il Covid, si potrebbe arrivare a 7-8 mila campioni al giorno”.

Un’ulteriore considerazione del documento riguarda l’approccio dello screening per pool di campioni. “Per testare 100 soggetti si possono fare 10 pool da 10 persone – conclude – riducendo da 100 a 10 le analisi. Se tutti i pool saranno negativi non si dovrà fare altro. Se ci sarà un positivo si dovranno analizzare singolarmente i 10 soggetti per identificarlo. Così, nelle aree a minor diffusione, potrebbero essere sufficienti pochissime analisi per analizzare un gran numero di soggetti”.

Per mettere in pratica la proposta serve la volontà del governo. “La vicenda dei tamponi è stata sottovalutata – spiega Valditara – tranne che in Veneto. Il vero problema sono gli asintomatici, come suggeriscono autorevoli studi internazionali, e servono i test per trovarli. L’operazione costerebbe 300 milioni di euro più la logistica. Possono sembrare tanti ma in realtà sono un investimento rispetto al rischio di perdere decine di miliardi in caso di un nuovo lockdown. Se è vero che in autunno ripartirà la curva dei contagi dobbiamo arrivarci preparati. Per organizzare sul territorio questi test basterebbe una più efficiente collaborazione fra Stato e Regioni. Non sempre è avvenuta ma sono certo che lo farebbero per il bene del Paese”.

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