EMERGENZA SANITARIA

Migliaia di positivi "ignoti"

Dai test sierologici effettuati nei laboratori privati emerge una diffusione del virus assai ampia: circa il 10% dei piemontesi sarebbe stato contagiato. Dati più attendibili dall'indagine Istat. Il nodo dei tamponi: la stretta non è nei laboratori, in grado di analizzarne 10mila al giorno

Quanto ha circolato (e continua a circolare) il Coronavirus in Piemonte, sfuggendo a tamponi e nascondendosi dietro a sintomi lievi o addirittura senza provocarne? Numeri è, ovviamente, impossibile farne, ma supporre che migliaia di persone abbiano incontrato il Covid 19 producendo gli anticorpi senza, tuttavia, dover ricorrere alle cure o, nei casi più gravi, al ricovero non appare un azzardo. Non è affatto una prova, ma un interessante indizio quello che si ricava dai primi dati dei test sierologici effettuati nei laboratori privati autorizzati dalla Regione.

Sono 46, di cui 16 a Torino, dieci in provincia, 7 nell’Alessandrino, 5 nella provincia di Novara, 3 in quella di Vercelli, 2 nel Cuneese, altrettanti nel Verbano-Cusio-Ossola e uno a Biella. C’è chi ha incominciato ad effettuare i test il 4 maggio, non appena la Regione ha cancellato l’iniziale divieto per i cittadini di sottoporsi all’esame sierologico, chi invece fornisce questo servizio da poco più di una settimana. Anche per questo, insieme a non poche altre variabili, il dato percentuale che emerge va preso con le molle. Estrema cautela e la consapevolezza di maneggiare numeri importanti che debbono essere valutati, appunto, tenendo conto un numero molto alto di fattori.

Quei numeri, ad oggi, dicono che sui 1.500 test effettuati in uno dei centri che operano a Torino, l’Unilabs, i casi in cui è stata la positività alle IgG si attesta tra il 10 e il 12 per cento. Cifre sostanzialmente confernate dai test effettuati, con una media di circa cento al giorno, dal gruppo Larc: 10% per le IgG e 4,5% per le IgM. Le prime indicano l’aver contratto il virus, anche in periodi retrodatabili di settimane e mesi, le seconde pur presentando il rischio di non pochi falsi positivi indicano un contatto recente o addirittura la positività ancora in corso accertabile con il tampone. Leggermente inferiore quella che emerge dai primi circa 500 esami effettuati al Koelliker: gli anticorpi sono stati riscontrati in una percentuale che sta tra l’8 e il 9.

Sono, comunque, percentuali elevate, come conferma il professor Umberto Dianzani, immunologo, responsabile nell’ambito dell’Unità di crisi per i laboratori incaricati di effettuare i tamponi, con una fondamentale premessa: “Va tenuto conto che, con molta probabilità, chi ha deciso di sottoporsi al test ha maturato il convincimento, magari per una sintomatologia lieve, di aver contratto nei mesi e nelle settimane precedenti il virus e quindi non si può parlare di un campione statistico. Se di questo si trattasse, il dato certamente sarebbe alto”.

Un’estrema prudenza, di fronte a questi dati parziali e in continua evoluzione con la prosecuzione dei test a cui i cittadini decidono autonomamente di sottoporsi, raccomanda anche Chiara Pasqualini, responsabile del Seremi, il Servizio di riferimento regionale per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive.

“Bisogna capire bene che popolazione si sta testando, conoscendo dati importanti come professione, età, possibili elementi di rischio a esposizione al contagio e poi una base numerica che permetta di fare una valutazione possibilmente più attendibile. Certamente, lette così sono percentuali molto alte rispetto a quelle che possono essere attese, ma ribadisco non lo si può considerare al momento un campione nel senso statistico. Restano comunque dati importanti – osserva Pasqualini – che se supportati da ulteriori elementi, insieme a test fatti a categorie definite, possono servire a fornire un quadro”.

Sempre con la premessa d’obbligo, questa volta sulla mancanza di certezza circa l’assoluta immunità e ancor di più sulla eventuale durata, è pur vero che se la percentuale che arriva dai dati parziali dei laboratori dovesse essere confermata dall’indagine dell’Istat, sarebbe da un lato la conferma di quel che si sospetta e si ipotizza da parte di molti esperti, ovvero una diffusione decisamente molto più elevata del virus rispetto a quanto accertato dai tamponi e dall’altra una buona notizia per l’eventuale e non ancora accertata immunità acquisita per una parte della popolazione, senza aver subito le conseguenze della malattia.

Un quadro statisticamente assai più attendibile ci si augura arrivi proprio grazie all’indagine sulla sieroprevalenza che, partita l’altro ieri, coinvolgerà 8.099 piemontesi, ma che già dall’inizio sembra incontrare alcune difficoltà con più di un diniego da parte delle persone contattate. A frenare la partecipazione, così come a ridurre l’iniziale corsa a fare i test autonomamente presso laboratori privati è il rischio, in caso di accertata positività alle IgG, di dover trascorrere non si sa quanto tempo in isolamento fiduciario, così come imposto dalle linee guida stabilite dalla delibera regionale di sabato scorso.

La prospettiva di una attesa non breve e soprattutto definita del tampone per verificare l’eventuale presenza del virus e quindi l’infettività con conseguente quarantena oppure escluderla, è un freno molto potente verso i test. I ritardi che continuano ad essere lamentati anche in questo periodo non certo di picco di contagi e la tendenza a rinviare il tampone per accertare l’avvenuta guarigione, oltre a continuare ad essere un disagio (per non definirlo più appropriatamente disservizio) per chi ha sintomi anche importanti, accentuano le difficoltà sul fronte dei test sierologici.

Tempi lunghi di cui non si comprende con chiarezza la ragione, visto che i laboratori, come spiega Dianzani, “a fronte di una capacità di 10mila, se ne fanno circa 5mila al giorno. Nelle Rsa sono stati fatti, ci sono meno sintomatici e meno tracciamenti da fare. Se ci sono rallentamenti e ritardi questi non dipendono certo dai laboratori”.

Chiarito che non è dove si processano i tamponi il problema, resta da capire perché c’è chi è costretto ad aspettare parecchi giorni per poterlo fare e magari ancor di più per avere la comunicazione dell’esito. Facile comprendere perché molti rifiutino di fare il test predisposto da Regione e Istat e non pochi disdicano l’appuntamento con i laboratori privati. Lo spettro di dover restare chiusi in casa non si sa per quanto spesso ha la meglio sul desiderio di sapere se si è entrati in contatto con il virus senza neppure accorgersene. 

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