Lo Stato imprenditore

In Italia l’ideologia dominante, nonostante spesso si parla di liberismo selvaggio, è uno statalismo soffocante animato da invidia sociale e dal timore per il merito. Da un po’ si è ritornato a parlare di Stato imprenditore, di nuova Iri e il ministro dell’economia Gualtieri ha dichiarato che lo stato azionista non è uno scandalo. Vorrei far notare che attualmente il principale azionista della borsa italiana è proprio lo stato italiano e pertanto parlare di stato imprenditore non è affatto una novità. Vi rimando ad un mio articolo di qualche mese fa per i dettagli: “Il principale azionista italiano, lo Stato”. Un ulteriore intervento dello stato italiano nell’economia non costituirebbe un’eccezione o qualcosa di nuovo, ma si metterebbe nel solco, piuttosto ampio, di una abitudine quasi secolare. Si parla di nuova IRI quando di fatto già esiste ed è la Cassa Depositi e Prestiti che ha partecipazione in Eni, Enel, Snam, Terna, Poste Italiane, Fincantieri e altre società quotate e in più in un bel po’ si società non quotate e in fondi di investimento. Parlare di ritorno allo stato imprenditore quando nei fatti lo stato non ha mai smesso di fare l’imprenditore sembra più una battuta che una realtà.

Negli ultimi anni lo stato è intervenuto pesantemente nell’economia in maniera diretta mettendosi a gestire società oltre a dettare leggi che inficiano la libertà economica e le libertà più in generale dei cittadini italiani. Per esempio il fallimento di Alitalia e Monte dei Paschi di Siena ha permesso allo Stato italiano di prendere in gestione le due società con risultati non entusiasmanti. Alitalia è un pozzo senza fondo che brucia i soldi dei contribuenti senza che si ricavino particolari vantaggi. Per Monte dei Paschi si poteva adottare una soluzione come quella delle banche venete in cui la rete veniva ceduta ai privati e i debiti in quella che i tecnici chiamano una bad company, mentre ora è una società statale. Non è finita qui. Un’inchiesta giudiziaria ha espropriato la famiglia Riva della proprietà dell’ILVA che è finita sotto l’amministrazione di commissari di nomina governativa con risultati disastrosi. Adesso si cerca di mettere una pezza cercando di rifilare le acciaierie al colosso indiano ArcelorMittal che probabilmente fiutando la “non convenienza” sta cercando di tirarsene fuori. Tra l’altro l’accusa di bancarotta fraudolenta per uno dei componenti della famiglia Riva è totalmente decaduta e ci si chiede quanto di quella inchiesta abbia avuto una base concreta.

Altro caso eclatante è quello di Telecom in cui il principale azionista sono i francesi di Vivendi. L’anno scorso per bloccare la possibile separazione della rete fissa è intervenuto lo stato italiano tramite Cassa Depositi e Prestiti con l’acquisto di un pacchetto di azioni presentandosi in assemblea insieme agli americani del fondo Elliott per ribaltare il consiglio di amministrazione dell’operatore telefonico.

Ultimo progetto importante di cui si parla in questo momento è quello di portare in mani italiane la proprietà della Borsa Italiana, società che gestisce i mercati finanziari in Italia, attualmente in mani alla borsa inglese. Visto che è in gioco una fusione a livello globale potrebbe sorgere l’esigenza per la borsa inglese, per non violare le normative europee in materia di antitrust di liberarsi di qualche attività e uno studio di Mediobanca ha suggerito di far tornare in mani italiane la borsa italiana. Nulla di male in ciò, ma subito si è palesato l’esigenza che a guidare il gruppo di investitori italiani ci sia Cassa Depositi e Prestiti.

Questo breve elenco incompleto mostra le attività economiche in cui è coinvolto o si pensa di coinvolgere lo stato italiano. Per uno stato che non fa l’imprenditore, sembra un elenco piuttosto corposo. Qualunque grande imprenditore o investitore si accontenterebbe di una piccola percentuale dei business che gestisce lo stato italiano.

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