SANITA' & POLITICA

Raddoppiano le terapie intensive, ecco la nuova rete ospedaliera

Il piano della Regione: ristrutturazione dei Pronto Soccorso con zone di pre-triage e percorsi in grado di ridurre il rischio di contagio. Ma mancano anestesisti e rianimatori. Rivetti: (Anaao): "Assumere specializzandi e aumentare le borse di studio"

Posti di terapia intensiva aumentati quasi in tutti gli ospedali con una dotazione che crescerà di 299 letti in tutta la regione fino a raggiungere quota 610; da 125 a 305 le postazioni di terapia semi-intensiva, ristrutturazione dei Pronto Soccorso con zone di pre-triage e percorsi in grado di ridurre il più possibile il rischio di contagio. Sono queste le principali misure contenute nel piano predisposto dalla commissione presieduta da Giovanni Monchiero e in arrivo in queste ore sul tavolo dell’assessore alla Sanità Luigi Icardi, nel rispetto dei parametri e dei tempi imposti dal Governo ed esplicitati nella circolare del ministero della Salute che, arrivata a lavori iniziati, aveva imposto un cambio di rotta proprio sulla distribuzione dei nuovi posti di terapia intensiva nell’eventualità dell’arrivo di una seconda ondata di contagi di Coronavirus in autunno. Lo schema che prevedeva di concentrare soprattutto su ospedali di piccole e medie dimensioni i posti di terapia intensiva predisposti per una possibile nuova emergenza lasciando il più possibile Covid free le strutture più importanti dove si effettuano prestazioni di eccellenza e si concentra il maggior numero di pazienti è stato rivoluzionato proprio dalla circolare del ministero.

Rapida correzione di rotta e la task force guidata dall’ex parlamentare cuneese, con una lunga esperienza di dirigenza nelle aziende sanitarie, ha stilato un elenco che, pur ancora da definire ufficialmente, prevede un notevole aumento dei posti di rianimazione soprattutto nelle maggiori strutture ospedaliere piemontesi.

Alcuni esempi. Alle Molinette le terapie intensive dovrebbero aumentare di 24 posti passando dagli attuali 40 a 64, al Cto da 16 a 40, raddoppiati gli attuali 6 del Maria Vittoria, 15 in più rispetto agli attuali 9 al Martini e raddoppio pure per il Giovanni Bosco che ne conta 12, nuovi 10 per l’Amedeo di Savoia. Passando ai centri della provincia 6 in più rispetto agli attuali 10 a Chivasso, uno in più a Ivrea dove adesso sono 7, 2 in più a Chieri che ne ha 4, 8 tutti nuovi a Carmagnola. Nel resto della regione al Maggiore della Carità di Novara si dovrebbe passare dagli attuali 22 a 40, stesso numero stabilito per l’ospedale di Cuneo che oggi ne conta 25, mentre a regime il nuovo ospedale di Verduno prevede 26 letti di rianimazione. Nuovi 6 posti in più per Asti dove oggi ci sono 10 letti, 10 in più rispetto agli attuali 6 a Casale Monferrato, e ulteriori 5 per l’ospedale di Alessandria dotato attualmente di 17 e raddoppio per Novi Ligure dove oggi le terapie intensive sono 6, mentre non sarebbe previsto di aumentare i 6 di Tortona, epicentro e primo grande focolaio in Piemonte.

Numeri che, in alcuni casi, potrebbero ancora cambiare pur senza modificare il totale stabilito dal ministero che comporterà una spesa stimata attorno ai 50 milioni cui vanno aggiunti altri 30 per le postazioni di terapia semi-intensiva. Soldi che arriveranno dallo Stato, mentre i 25 milioni necessari per adeguare i locali dei Pronto Soccorso non sarebbero del tutto coperti dai finanziamenti stabiliti dal decreto, anche se, con una seri di oculate operazioni, la task force di Monchiero, insieme agli uffici regionali, pare essere riuscita a far tornare i conti assicurando la copertura per questi interventi, peraltro resi obbligatori proprio dalle disposizioni ministeriali. E far tornare i conti con i 111 milioni stanziati dal Governo a fronte di richieste pervenute dalle aziende sanitarie che portavano a una cifra decisamente superiore, pari a 165 milioni, è un’altra impresa cui è stata chiamata la commissione che insieme all’Asl Città di Torino ha deciso di mantenere almeno fino a fine anno l’ospedale installato nelle ex Ogr.

Sarà quello il solo Covid Hospital nell’attuale situazione, mentre nel caso di una nuova emergenza sarebbe pronto un piano per trasformare altri nosocomi in ospedali dedicati esclusivamente ai malati di Coronavirus. Pronti a fornire il loro contributo, come peraltro già avvenuto nei mesi dell’emergenza, i privati. La sanità accreditata partecipa, infatti, con suoi rappresentanti alla commissione il cui lavoro proseguirà con il compito di rivisitare la rete ospedaliera regionale.

Tornando alla questione economica, va ricordato che nel plafond assegnato al Piemonte ci sono anche 14 milioni per il personale, che poi è un aspetto fondamentale del piano. Inutile dire che è assai più facile installare nuovi posti di terapia intensiva che non trovare medici e personale sanitario di alta specializzazione indispensabile per poterli far funzionare. “Aumentare del 70% le terapie intensive senza avere il personale necessario è inutile. Sarebbe una falsa tranquillità – ha detto Alessandro Vergallo, presidente nazionale dell’associazione anestesisti rianimatori ospedalieri, commentando le misure disposte dal Governo –. Più ragionevole pensare a un incremento del 35%”. In Piemonte si lavora per un raddoppio.

“L’ aumento del 50% dei posti letto in rianimazione deve necessariamente prevedere un incremento dell’organico, già gravemente carente  prima della emergenza epidemiologica, quando  i concorsi per assumere anestesisti andavano deserti per carenza di specialisti”, osserva Chiara Rivetti, segretaria regionale di Anaao-Assomed. “La carenza stimata in Piemonte era già a febbraio di circa 150 rianimatori. È fin d’ora indispensabile poter assumere gli specializzandi del terzo e quarto anno negli ospedali con maggiori carenze e prevedere un incremento delle borse di specialità per il prossimo futuro”. Per la sindacalista dei camici bianchi ospedalieri “in caso di nuovo picco in autunno andranno poi formati colleghi per lavorare anche le sub-intensive, iniziando adesso con corsi sulla ventilazione e gestione dei pazienti con insufficienza respiratoria”. Per l’Anaao-Assomed “non sembra una soluzione percorribile quella di richiamare, seppur in una eventuale emergenza legata ad un secondo picco autunnale, i pensionati, considerato che sono anche nella fascia d’età più a rischio proprio per gli effetti del virus”. 

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