GRANA PADANA

Lega nella trappola dell'Autonomia

Un cavallo di battaglia azzoppato dalla scriteriata guida del gruppo a Palazzo Lascaris e dalle trame degli alleati, soprattutto FdI, che hanno fatto saltare lo "scambio" con le opposizioni. Così Preioni si è trovato con il cerino in una mano e nell'altra un pugno di mosche

“Tutti devono sapere che al primo punto del nostro programma c’è l’autonomia e chi non la vuole non può governare con noi. Né a livello nazionale, né a livello ragionale”. Matteo Salvini, a Verona, parla ai “figli” perché i Fratelli intendano. L’avvertimento del Capitano che risuona nel Veneto prossimo alle urne – “Autonomia o si corre da soli” – ha un’eco anche laddove si è già votato, il centrodestra a trazione leghista ha vinto, ma l’autonomia pure nella sua declinazione totemica di una commissione consiliare ad hoc è ancora al palo. Il grande rodimento della Lega in Piemonte ancora non vede il giorno del cambiamento della consonante, il momento in cui portare a casa quanto promesso e tanto agognato.

“Mai molà, tegn dur”, dicevano ai tempi di Umberto Bossi. All’epoca l’autonomia di oggi era un brodino di fronte agli ossi della secessione. Manco quello riescono a portare in tavola, adesso. E in famiglia, quella allargata del centrodestra, c’è chi non muove un dito. Salvini lo sa bene e quel che ha detto nella città di Giulietta e Romeo è diretto ai pronipoti di chi frequentava altri balconi.

Dintorni di Montecitorio, qualche giorno fa, dopo l’intervista di Riccardo Molinari allo Spiffero in cui apriva alla commissione di inchiesta sull’emergenza coronavirus in cambio della fine dell’ostruzionismo che impedisce la nascita della commissione autonomia. “Vogliamo mica far finire la maggioranza sul banco degli imputati?”, chiede con risposta compresa l’ex parlamentare di Fratelli d’Italia Agostino Ghiglia. Il segnale dell’ex “federale” piemontese, in missione alla Camera, al capogruppo della Lega è chiaro, altrettanto la conferma di quel che ormai è noto: il partito di Giorgia Meloni non ha nessuna intenzione di fare ciò che non ha fatto fino ad oggi, di portare acqua al mulino leghista non se ne parla.

Non è un caso che Maurizio Marrone, il capogruppo da poco diventato assessore, abbia declinato senza indugi l’invito arrivato dall’azionista di maggioranza di vestire la feluca del diplomatico per cercare una mediazione con le opposizioni. La difesa a testuggine, immaginifica traduzione militaresca cara a una certa destra, del governo regionale, per FdI non può essere messa in discussione, neppure dal desiderio leghista di sventolare il vessillo autonomista per una battaglia oggettivamente difficile con l’attuale Governo giallorosso. Veder celebrare un processo politico sulla gestione dell’emergenza, con le immagini non sfumate dell’ex capo dell’Unità di Crisi Mario Raviolo, molto vicino al cofondatore del partito Guido Crosetto, è fuori da ogni ipotesi plausibile. Tanto più se questo dovesse essere scambiato con l’autonomia, concetto lontano anni luce dalla visione di una destra nazionale e centralista.

Quando Salvini lancia l’avvertimento in vista delle elezioni regionali, lo fa sapendo come la pensa FdI e sapendo pure che il partito della Meloni continua ad aumentare consensi, pescando soprattutto proprio nel suo bacino. Anche per questa ragione la questione irrisolta a Palazzo Lascaris diventa qualcosa di più importante rispetto a quanto non lo sia stato fino ad oggi per la Lega.

“Al dio Po sono ancora tributati sacrifici umani”, scrive in camera caritatis un importante dignitario della corte meloniana: in nome dell’autonomia “non si può portare la maggioranza sul banco degli imputati nel processo che la sinistra vuole farci”. Il nervosismo che da Salvini arriva fino ai banchi leghisti di via Alfieri non è immotivato e, qui, potrebbe avere una ragione ulteriore nelle manovre che da tempo vedono in avvicinamento Alberto Cirio proprio nel partito che, in Piemonte, vede Crosetto lavorare al cambio di casacca del governatore.

Basteranno a tranquillizzare la Lega le parole del suo capogruppo, il povero Alberto Preioni, con cui ha rassicurato Molinari dicendogli che anche senza dover concedere nulla alle minoranze “la commissione autonomia la portiamo a casa”? Di certo non saranno i Fratelli ad aprire la porta.

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