Lavoro, il futuro è qui e ora

Il futuro del lavoro dipende dalla governance del territorio. Siamo di fronte a politiche contraddittorie. Le ultime polemiche sulle piste ciclabili confermano l’incapacità di una prospettiva realista da parte della maggioranza comunale, così come inconsistenti appaiono le idee provenienti da Piazza Castello.

Sul tema del lavoro siamo di fronte al disorientamento di una classe politica che non è capace di produrre un risultato che sia uno. Però discutono concitatamente, in alcuni casi anche con sindacalisti del no, a prescindere, ma ultimamente folgorati sulla via di Damasco.

Assistiamo alla prima operazione di “riconversione” industriale, da parte di sindacalisti e politici, che tornano a pensare, seguendo il vento, la necessità per la ripartenza di Torino di un’industria automotive forte: il rilancio di Fca e del suo indotto.

Vi ricordate quei sindacalisti che proponevano di vendere l’Alfa Romeo a Volkswagen procurando la chiusura di uno, se non due stabilimenti Fiat in Italia? Ecco quelli sono in fase di “riconversione. Ricordo anche, ma vagamente, chi snobbava, tempi addietro, ogni discussione sull’automotive considerando superata la fase di Torino Città industriale: eravamo tutti un post qui, un post là. Negli ultimi tempi ho capito il suo significato: avremo una fiorente industria di monopattini e biciclette, nonché di verniciatori per le strisce delle piste ciclabili che  in un concetto di economia di scala a bassa professionalità sostituirà l’industria dell’auto. Poi, per quanto mi sforzi, vorrei ricavare un concetto dalla maggioranza regionale ma oltre a sentire che è colpa di Roma o andiamo al Mise odo un’assordante silenzio.

Questi concetti si sposano con il sindacato No Tav e quindi il mix che esce da certi dibattiti è il contrario di ciò che abbiamo sentito dire sinora.

L’auto ridiventa centrale nel suo core business: la produzione di massa.

Siamo alle solite, o si è troppo in avanti con il superamento dell’auto e l’avvento del monopattino o si torna troppo indietro.

Cosa serve a Torino e alla sua area metropolitana? Intanto occorre guardare cosa accade e cogliere le sue evoluzioni industriali come il fatto che CNHI (ripeterò fino alla sfinimento che a Torino ci sono oltre cinquemila addetti sui veicoli industriali e agricoli) produrrà a Torino un  motore a idrogeno per veicoli industriali. Punch si avvia a sperimentare, dal motore diesel, una trasformazione a motore idrogeno.

Allora Torino e la sua area metropolitana, pensando sempre alle parole di Marchionne, “ve li immaginate i torinesi andare al mare con l’auto elettrica!?”. Serve un progetto di area metropolitana, che crei e incrementi le attività produttive legate all’automotive, basato sul trasporto elettrico nei centri cittadini (ma no! noi eravamo più avanti sulla guida autonoma ormai! Che fine ha fatto?) e dall’altro sviluppi la produzione di auto di gamma premium per tutta la rete autostradale.

Allora, oltre all’auto, con le aziende presenti sul territorio dovremmo occuparci di più anche di altre locomozioni. Se uno dei settori che segna la ripresa sono le infrastrutture, la loro realizzazione è intimamente legata ai veicoli industriali; se l’agricoltura rimane fondamentale, basti guardare ai risultati di Merlo in quel di Cuneo, la produzione di motori di ultima generazione per trattori a Torino rimane fondamentale.

Diversificare l’indotto industriale e rendere attrattiva l’area metropolitana. L’indotto auto è sì a Torino ma molto, molto ancora nel modenese. Come si recupera questo gap? L’indotto veicoli industriali quanto è a Torino, quanto in Emilia o nelle Marche?

Se questo territorio avesse una classe politica vocata e ispirata basterebbe poco, ad esempio, qualche riunione periodica con qualche amministratore delegato o imprenditore, e magari anche il sindacato se ha idee da esprimere, con una vision per capire in quale direzione lavorare per il futuro. Il Futuro non è vincere le prossime elezioni, anche ma con un’idea prospettica.

Allora capire che in questo momento l’Unione Europea ha stanziato fior di miliardi per la ricerca e produzione sull’elettrico e quindi tutte le aziende stanno investendo in quel segmento, ma sarà poi il mercato a dirci con quali risultati.

Infatti, nel campo della visione futura le aziende, alcune, sono già oltre con un recupero del passato. Tornerà il diesel? Penso di sì. Tornerà con le sue evoluzioni: l’idrogeno non è più una chimera astratta e l’elettrico sui veicoli industriali e probabilmente anche sui veicoli commerciali leggeri sarà a supporto della vera propulsione, diesel. La nostra unica  possibile salvezza è essere all’avanguardia nell’industria, nelle tecnologie, nella ricerca e progettazione industriale.

A fianco di questo però dobbiamo pensare a volumi anche a bassa professionalità perché la risposta occupazionale va data a tutti. Agli ingegneri del Politecnico, ai tecnici diplomati ma anche a quei tanti che ancora non hanno competenze e forse affronteremo così anche la questione degli ultimi, delle periferie.

Perché possiamo raccontarci il film che vogliamo, la “narrazione” come dice qualche sindacalista dei tanti no, ma appunto la narrazione è una finzione e la realtà è un’altra. La realtà è che se non si crea lavoro, non precariato perenne, anche per il terzo livello metalmeccanico avremo sempre pezzi di società esclusi.

Ma esprimiamo questo concetto con le parole ben più autorevoli di Giuseppe Berta: “Infine è necessario che Torino non dimentichi quella parte di società locale che non potrà essere arruolata nelle attività più avanzate e di prestigio. Essa va avviata piuttosto a occupazioni e compiti più modesti, magari di più corto raggio, in grado comunque di soddisfare una domanda locale di beni e servizi. Sono queste le tessere di un possibile mosaico da comporre con pazienza, assiduità e dedizione, senza confidare in accelerazione improvvise o soluzioni rapide”, dal libro Chi ha fermato Torino?.

Una politica del lavoro seria deve dare un’opportunità a tutti, partendo dai più deboli perché quelli che stanno alla Crocetta, di solito, una possibilità ce l’hanno. E gli altri?

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