Malcostume e decadenza dei partiti

Il pasticciaccio del bonus richiesto da alcuni parlamentari e svariati consiglieri regionali – cioè da una categoria politica molto ben pagata e molto ben retribuita – non può e non deve, giustamente, passare sotto silenzio. Lo hanno detto quasi tutti ed è persin inutile continuare a soffermarsi nel merito della questione. Al di là, come ovvio, di fare di tutta l’erba un fascio. E cioè confondere i lauti stipendi di parlamentari e consiglieri regionali con i consiglieri comunali, assessori e amministratori locali dei piccoli comuni e anche della stragrande maggioranza dei Comuni italiani.

Ma, al di là di questo aspetto etico, comportamentale e di pura trasparenza, c’è un aspetto che merita di non essere trascurato e che, del resto, è stato richiamato da molti osservatori in questi giorni dopo questo fatto grave e del tutto ingiustificabile. Ovvero, ma come viene selezionata la classe dirigente di questo nostro benedetto paese? E qui, lo possiamo dire ad alta voce e senza paura di essere smentiti, prevale il valzer dell’ipocrisia e della menzogna. Nello specifico, i vari leader politici – si fa per dire – sostengono all’unisono che l’unico metro di giudizio che viene scelto per la selezione della classe dirigente politica, soprattutto quella nazionale, resta la meritocrazia, il radicamento territoriale e la rappresentatività sociale. Quando tutti, ma proprio tutti, sappiamo che avviene l’esatto contrario. E questo per un motivo semplice, persin banale. E cioè, nei partiti personali, padronali, del capo o del guru, tutto è ammesso tranne avere una rappresentanza parlamentare – e quindi il ceto dirigente del paese – che non risponde direttamente al capo, al padrone, al guru o al proprietario del partito stesso. Con tanti saluti, come ovvio e scontato, alla meritocrazia, al radicamento territoriale, alla competenza politica o di settore. E via discorrendo. L’unico criterio che vale è la fedeltà.

Punto. E, di conseguenza, il gregariato. Ecco perché è perfettamente inutile stracciasi le vesta quando avvengono queste degenerazioni. Che, è il caso di dirlo con chiarezza questa volta, sono semplicemente incommentabili talmente sono meschini e squallidi. Ma il difetto, però è anche nel manico. E chi non lo riconosce sa di partecipare al valzer dell’ipocrisia pur senza ammetterlo.

Certo, le tentazioni possono sempre capitare, a prescindere dalla natura dei partiti e dai vari sistemi elettorali che sono in campo. Ma un dato è oggettivo: se non si restituisce almeno la possibilità ai cittadini di scegliersi i propri rappresentanti – o con la preferenza singola o multipla o con il collegio uninominale – la responsabilità di ciò che avviene cade inesorabilmente su chi li ha designati e nominati dall’alto senza alcuna possibilità, per l’elettore, di poter scegliere. E, accanto a questa persin banale considerazione, la necessità, ormai non più procrastinabile, di rimettere in gioco e in funzione i partiti che non siano, sempre e solo, la semplice espressione del capo, del padrone o del guru di turno.

Finché non avremo questa doppia opportunità politica, culturale ed organizzativa, è perfettamente inutile continuare a stupirci e a stracciarci le vesta per ciò che accade sotto i nostri occhi. Perché si tratta di azioni e di comportamenti che sono anche, e soprattutto, il frutto e la conseguenza di questa doppia stortura che ormai da troppo tempo caratterizza la politica italiana.

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