VERSO IL 2021

Pd e Cinquestelle amoreggiano ma a nozze ci va il centrodestra

Che si tratti di alleanza organica, di accordo al secondo turno o di patto di desistenza, la liaison tra i due ex nemici apre una prateria. Giacometto (FI): "Occasione imperdibile per proporre un'alternativa". E non è scontato che il candidato sindaco spetti alla Lega

Il matrimonio tra Pd e Cinquestelle per le elezioni comunali a Torino, sul quale a dispetto di sempre più flebili smentite resta solo il dubbio circa la forma ma non la sostanza, offre al centrodestra l’occasione probabilmente più concreta per governare, prima volta nella storia, la città. Ma impone alla stessa coalizione, oggi al governo della Regione e che cinque anni fa mandò alle ortiche ogni chance presentandosi divisa, una serie di valutazioni e aggiustamenti, rispetto allo schema classico, nella proposta agli elettori.

Centrale resta ovviamente la figura del candidato sindaco, ma l’adeguamento al nuovo pur non imprevisto scenario investe anche o soprattutto i temi su cui si poggerà la campagna elettorale, a quel punto non più vera partita a tre (anche nell’ipotesi di un primo turno con Pd e M5s divisi), bensì duello, si vedrà se all’ultimo voto o meno.

Va letto in questo scenario l’appello del deputato di Forza Italia nonché consigliere comunale e già candidato sindaco nel 2016 Osvaldo Napoli che in una nota spiega come “l’evoluzione del quadro politico”, con le aperture di Chiara Appendino, il voto su Rousseau favorevole alle alleanze e susseguente entusiastico apprezzamento di Nicola Zingaretti, “mi spinge a rilanciare l’idea di dar vita a una coalizione di moderati attorno a una figura civica capace di interpretare le istanze e dare risposte alle attese della società torinese ansiosa di riprendere la via dello sviluppo e della crescita”.

Basta trovare il candidato civico giusto (e già non sarebbe poco) per spianare la strada al centrodestra, facendo leva su quella riproposizione dell’alleanza di governo sotto la Mole indigeribile a una buona parte dell’elettorato di centrosinistra moderato che dei grillini ad amministrare la città non ne vuol (più) sentir parlare? E, ancora, di fronte a un prevedibile far leva da parte dell’asse giallorosso sull’effetto muro al centrodestra sovranista e populista uso specialmente nella sua componente maggioritaria a cavalcare le paure e brandire questioni securitarie e legate all’immigrazione, come dovrebbe agire quella che Napoli definisce la coalizione dei moderati? Una partita ancora tutta da giocare e della quale ancora vanno definiti gli schemi.

“Certamente una partita che dobbiamo giocare rappresentando quell’alternativa che non siamo riusciti a rappresentare nel 2016, dividendoci”, sostiene un altro deputato azzurro, Carlo Giacometto. E proprio negli errori di cinque anni fa si deve cercare non solo la spiegazione della sconfitta di allora, ma anche elementi di un’analisi del comportamento degli elettori che in parte smentisce l’assunto caro al Pd, ovvero che i voti in più ai Cinquestelle siano arrivati da elettori del centrosinistra delusi. “Fin dal primo turno una parte di elettorato che si rifaceva al centrodestra, di fronte a quelle divisioni che rappresentavano l’impossibilità di fornire un’alternativa alla continuità del centrosinistra, ha scelto Chiara Appendino, portandola oltre il 30 per cento. Oggi vediamo Pd e Cinquestelle insieme in Liguria, probabilmente faranno lo stesso nelle Marche e in Puglia, io spero con l’esito dell’Umbria. La direzione per Torino è segnata. Noi dobbiamo costruire un programma di governo per i prossimi cinque, dieci anni della città, il suo ruolo nel contesto produttivo del Paese”, spiega Giacometto che nel 2006, insieme ad altri, scrisse “Torino futuro aperto” disegnando la città per il decennio futuro, per molti aspetti ancora attuale pur con i necessari adeguamenti. In quell’anno, dopo pesanti veti e manovre contro Michele Vietti, venne paracadutato come candidato sindaco Rocco Buttiglione e si sa come andò.

Come andrà al centrodestra la primavera prossima dipenderà, dunque dalla figura del candidato, dal programma, ma non di meno dalla capacità di saper adattare il profilo della coalizione alla sfida, senza offrire un facile destro. “Dobbiamo lavorare sulle persone per formare una squadra capace di offrire davvero un’alternativa non solo a questi cinque anni, ma anche alle amministrazioni precedenti. Il sindaco, civico o politico, uomo o donna, l’importante è che sia una figura con capacità e anche una visibilità a livello nazionale. Deve essere l’ambasciatore della città e, al contempo, sapere di dover amministrare come sindaco metropolitano un territorio che va oltre la cinta daziaria”. Per il parlamentare azzurro, “non è il momento delle bandierine, i partiti devono rinunciare a piantarle per riportare Torino a essere una delle città-guida del nostro Paese. Se giochiamo con le bandierine ripetiamo l’esperienza fatta con Buttiglione”.

La golden share per l’indicazione del candidato sindaco è, almeno per ora, nelle mani della Lega che pur spiegando di avere già contatti con papabili, non ha ancora mostrato le carte. E chissà che questo non risulti una strategia non proprio fortunata. “Per le grandi città le scelte passano per il tavolo nazionale – premette Maurizio Marrone, assessore regionale, e autorevole esponente di Fratelli d’Italia –. Dopo le elezioni regionali si faranno dei ragionamenti e proprio i risultati del voto nelle Regioni potranno fare la differenza”. Parole dietro le quali non è difficile leggere il punto interrogato sul mantenimento o meno di quella golden share di cui si diceva da parte della Lega.

E se il matrimonio Pd-M5s, per Marrone “scongiura il rischio rappresentato da un’offerta di una sorta di restaurazione offerta dal Partito Democratico facendo leva sulle sue precedenti amministrazioni e sul male minore, rispetto a questi cinque anni”, gli stessi temi identitari, a partire da quello dell’immigrazione, “per quanto importanti, credo vadano in secondo piano rispetto a proposte convincenti per il rilancio economico della città, dando risposte alla classe dirigente in termini di sviluppo, così come alle periferie in termini di occupazione”.

Mentre si aspetta l’esito delle elezioni regionali per comprendere quali saranno gli equilibri interni, soprattutto tra Lega e FdI, Forza Italia cerca di giocare un suo ruolo nei giochi che di fatto non si sano ancora aperti per la proposta del centrodestra a Torino, allargando il campo. “Credo ci sia spazio per poter coinvolgere anche persone che in passato hanno svolto ruoli nel centrosinistra e che hanno capacità e professinalità. In questa fase – osserva Giacometto – in cui c’è necessità di far ripartire la città e lasciarsi alle spalle questi cinque anni di amministrazione grillina, andrei oltre gli steccati”.

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