RETROSCENA

La Lega potrebbe "cedere" Torino

Al tavolo nazionale del centrodestra le città che andranno al voto nella prossima primavera. Salvini sa di non essere più l'asso pigliatutto e ora vuole Roma, Milano e Bologna. A quel punto toccherebbe a Fratelli d'Italia indicare il candidato sindaco della Mole

La golden share sul candidato sindaco di Torino resterà saldamente in mano alla Lega, qualunque cosa accada? La domanda che nel centrodestra nessuno ha il coraggio o la sfrontatezza di porre apertamente, ha in quel “qualunque cosa accada” l’implicito riferimento a ciò che potrà succedere nell’equilibrio di forza tra Fratelli d’Italia e il Carroccio alla luce dei risultati che il 21 settembre scaturiranno dalle elezioni regionali.

Se il partito di Giorgia Meloni confermerà, accentuandola nelle urne, la costante e pesante crescita attestata dai sondaggi facendosi ancor più minaccioso rispetto a quello di Matteo Salvini, è facile immaginare come le carte che verranno date al tavolo nazionale del centrodestra per le decisioni sulle città più importanti saranno diverse rispetto alla partita immaginata su numeri diversi. E che spetti proprio a quel tavolo nazionale, come non a caso va da tempo ripetendo il proconsole e attuale assessore regionale di FdI Maurizio Marrone, la decisione sull’uomo o la donna da far scendere in campo per cercare di governare la città per la prima volta nella storia è ad oggi l’unica certezza. Meno sicuro è che quello che pare oggi un punto fermo resti tale dopo l’esito delle regionali. E non soltanto di quelle. Pur con un peso imparagonabile, anche le amministrative che porteranno 72 Comuni al voto in Piemonte potranno avere un ruolo nella spartingaia delle candidature maggiori al tavolo della coalizione quando si tratterà di riempire la casella di Torino.

La campagna acquisti, con una crescente cannibalizzazione di Forza Italia, avviata da tempo dai Fratelli favoriti da una Lega ancora non del tutto ripresasi a un anno dall’effetto Papeete e con le armi di Salvini – immigrazione in primis – meno efficaci di prima, è uno dei dati più eclatanti di questa tornata elettorale e una delle giustificate preoccupazioni del maggior partito del centrodestra. Nell’attesa di sapere (e comprendere il senso nel duello interno alla coalizione) se i due leader troveranno il tempo per una puntata in Piemonte (per ora in agenda c’è solo un comizio a Valenza), quasi anticipando e legando alle regionali il voto della primavera prossima sotto la Mole, nel partito di Salvini si coglie più di un segnale di tensione.

Se lo stesso capogruppo della Lega in Consiglio regionale, Alberto Preioni, ha additato “altri partiti ben lieti di imbarcare chiunque”, appare evidente il nervosismo che pervade il suo partito di fronte alle porte spalancate dalla Meloni. “La verità è quando tentano di farlo loro mostrano pressapochismo e inettitudine, come si è visto nel caso di Moncalieri”, replicano i meloniani riferendosi alla vicenda di Stefano Zacà, ex capogruppo di Forza Italia arruolato dalla Lega, prima messo in lista e cancellato al momento della consegna delle candidature con tanto di epilogo giudiziario.

Alla Lega non giova, certamente, arrivare al possibile rimaneggiamento degli schemi senza aver scelto e proposto agli alleati il nome cui affidare il compito di provare a vincere a Torino. Un ritardo che potrebbe costarle caro e, comunque, non agevolerà Salvini nel caso di una possibile rivendicazione di quel ruolo da parte di FdI. Le figure di cui si è parlato come possibili candidati non solo non hanno ancora sciolto le riserve ma hanno tutte marcato la loro connotazione civica, maniera elegante per non dirsi leghisti e non voler indossare la maglia del Capitano. E anche questi sono segnali di una difficoltà smentibile soltanto con un’indicazione chiara, che ancora manca e potrebbe arrivare in un contesto diverso, magari non così favorevole alla Lega, dopo il voto di settembre. Da qui la tentazione che, a detta di alcuni maggiorenti leghisti, si starebbe facendo via via più consapevole nel Capitano: cedere agli alleati lo screttro dell’investitura per il dopo Appendino e incassare le nomination in altre città: Milano e Roma, anzitutto, ma anche Bologna. Una rinuncia che, in fondo, non sarebbe neppure un grosso sacrificio, né per Salvini (che non ama particolarmente Torino, avara di bagni di folla e la cui procura l’ha mandato a processo) né per il suo luogotenente in terra allobroga, Riccardo Molinari, alessandrino alieno alle liturgie sabaude e per nulla interessato a far crescere qualcuno che un domani potrebbe fargli ombra.

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