La Rivoluzione della normalità

Tanto tuonò che non piovve. Una frase banale e comune ma sempre attuale per sintetizzare la posizione tenuta dal presidente di Confindustria Bonomi nell’incontro con Cgil-Cisl-Uil. La “rivoluzione” confindustriale consiste nel dare corso e gambe al Patto per la Fabbrica del 2018. D’altra parte qualcuno disse che la Rivoluzione è la semplicità che è difficile a farsi o una cosa simile.

Bene. Se fossimo capaci di dare applicazione pratica a metà a ciò che diciamo come intenti sarebbe già una bella rivoluzione in tema di lavoro, l’altra sarebbe tacere per metà! Rivoluzione è fare funzionare e applicare ciò che si firma nei contratti, tra le parti sociali e quindi anche dare applicazione al Patto per la Fabbrica che norma le regole di rinnovo dei contratti, non per la prima volta in effetti ma è la continuità del percorso iniziato con gli accordi del 1992 e 1993 in cui attore protagonista era anche il Governo.

Sarebbe utile che anche il Governo comprendesse, insieme alla politica, che occorre riprendere, con una visione nuova e aggiornata, l’azione tripartita del confronto con le parti sociali come superamento sia del leaderismo politico che tanti danni ha fatto e sta facendo alla politica e al Paese, sia come riconoscimento della rappresentanza sociale dei soggetti di intermediazione sociale del mondo del lavoro.

Questo richiede anche che i soggetti che rappresentano le parti sociali sappiano rappresentare le veloci trasformazioni, accelerate ancor di più dalla crisi pandemica, dei cambiamenti avvenuti nella società e nel lavoro. Ovviamente dovrebbe anche saperlo fare la politica, e qui sarà dura!

Firmare i contratti nazionali aperti, da troppo tempo, a partire da quello della sanità privata sarebbe un modo “rivoluzionario” di realizzare la normalità nelle relazioni sindacali oltretutto dando un segnale verso un settore che per la mala gestione politica della pandemia Covid da parte di alcune Regioni ha visto i lavoratori, loro malgrado,  sovente disarmati di mezzi e assistenza da parte dei datori di lavoro, reggere alle enormi difficoltà gestionali e anche, a volte, perdere la vita stessa.

Una ripresa delle relazioni sindacali inchiavardata su un’idea di Paese che abbia al centro il lavoro e le sue necessità sarebbe, probabilmente, l’unico modo per evitare che le risorse previste dall’Unione Europea, i ben 209 miliardi, vadano dispersi in mille rivoli inutili.

Occorre estendere il Patto per la Fabbrica, da sistema di regole e rappresentanza a un’idea di Paese e allargare il tavolo alle rappresentanze degli altri soggetti imprenditoriali; cosa peraltro difficile perché se al timone di “forti” lobby d’impresa ci sono da oltre vent’anni le stesse persone queste sono più tese al conservatorismo corporativo che al cambiamento e all’aprirsi alle mediazioni.

Cambiare è possibile come lo dimostra, atterrando nel nostro territorio, l’intervista a Lazzi, segretario Fio: “… Servirebbe un’azione comune, a dieci anni dal referendum di Mirafiori, che come Fiom abbiamo pagato carissimo..”. Credo sia una delle prime ammissioni fiommine del riconoscimento dell’errore fatto a suo tempo da Rinaldini, che ricordo fu il primo interlocutore di Marchionne a cui disse no a ogni cambiamento e fu scaricato dallo stesso. D’altronde ricordo che nei giorni di trattativa, separata, all’Unione Industriale di Torino per l’accordo di Mirafiori incrociando, casualmente, l’allora segretario Fiom torinese al bar durante una pausa caffè gli dissi che poteva passare alla storia firmando quell’accordo… salvo aggiungergli alcune cose che avrebbe dovuto fare appena dopo...!

La seconda citazione dell’intervista atta al cambiamento: “Qui a Torino possiamo produrre il segmento City Car, con le nuove propulsione elettriche e ibride e abbassando il prezzo della 500E..”.

Due affermazioni importanti che ammettono l’errore sul referendum, ma non potevano fare altrimenti, glielo riconosco, perché erano lanciati come la locomotiva di Guccini, peccato che venga deviata su un binario morto, come è finita la Fiom con quella scelta che sta rincorrendo da dieci anni.

Fiom che, però, ha iniziato con Landini l’operazione “rientro nei ranghi”, che gli ha consentito di diventare segretario generale della Cgil dimostrando intelligenza e lungimiranza che è mancata a altri. La firma del contratto nazionale 2016 è la punta eccellente di questa operazione. Se Fim e Uilm avessero firmato un contratto nazionale con un anno di ritardo, praticamente senza aumenti nei successivi tre anni e erogati nel semestre dell’anno successivo rispetto all’inflazione, la Fiom avrebbe urlato le cose più inimmaginabili considerando che ne aveva già dette di “cotte e di crude”.

La seconda ammissione dell’intervista è il cambio di segmento, rinunciando alla posizione sin qui sostenuta che occorreva produrre modelli di segmento B, come la Grande Punto, mai prevista a Torino. Né in passato né in futuro. Ma è stata una posizione “inventata” tatticamente e che ha dato il suo frutto nell’opinione pubblica torinese, poi “qualcuno” ha spiegato anche a loro che era velleitaria e nel tempo controproducente e si sono riposizionati sui programmi e sul Piano Industriale Fca sostenuto dalla Fim e sempre osteggiato dalla Fiom.  

Anzi, si spingono oltre sostenendo che a “Torino possiamo produrre il segmento (solo?)City Car” e a Grugliasco l’alta gamma Maserati chiedendosi se l’azienda non sta pensando a chiudere uno dei due stabilimenti. Ho imparato in questi anni da Segretario Generale che non si deve mai parlare di chiudere uno stabilimento anche attribuendolo come intenzione all’azienda. In gergo si dice che non bisogna fare da “megafono” alle possibili intenzioni aziendali soprattutto se si tratta di chiudere stabilimenti.

Preso atto in modo positivo dei cambiamenti di posizione che stanno avvenendo nella Fiom torinese in quanto riconoscono ciò che abbiamo fatto, detto e sostenuto come Fim in questo decennio, penso che sia importante questo “mutamento di pelle” e che vada apprezzato. Manca ancora una cosa, piccola ma significativa, che possono fare senza aspettare la scadenza naturale: firmare il Ccsl.

Detto questo il riposizionamento Fiom mi sembra un buon presupposto per continuare a ragionare e discutere sul futuro industriale di Torino e della sua area metropolitana.

Intanto la Fiom torinese ha fatto con il suo protagonismo sui mass media di questi giorni un’operazione intelligente e furbesca non certamente casuale, complice la Festa Fiom, ha “accentrato l’attenzione” su di sé mettendo le mani e il suo imprinting sulla manifestazione unitaria “Vertenza Torino” del 12 settembre con buona pace della Cgil e di Cisl e Uil torinesi.

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