IDEE

"Investire guardando oltre la cinta daziaria"

Non si affronta una crisi sanitaria ed economica globale con il localismo. Occorre sfidare il paradigma rischio-rendimento che spesso frena la ricerca e l'innovazione. La connessione profit-no profit. Parla Lapucci, segretario generale della Fondazione Crt

“Prudenti nell’amministrare il patrimonio, ma osare nell’utilizzo dei suoi frutti”. Se poi capita che una parte di frutti non arrivi a causa del blocco imposto dalla Bce all’erogazione dei dividendi da parte delle banche, questo è solo uno degli aspetti del cambiamento che il Covid ha prodotto anche sulle fondazioni di origine bancaria, sul loro ruolo nell’emergenza e, non di meno, nel non facile e chissà quanto lungo processo di superamento della crisi. Massimo Lapucci, romano, cinquant’anni, da otto anni è segretario generale della Fondazione Crt presieduta da Giovanni Quaglia.

La Fondazione ha radici profonde in un territorio che è stato duramente colpito dalla pandemia, che ne continua ad accusare le pesantissime conseguenze in un momento in cui perdura l’incertezza sanitaria e, non in maniera minore, economica. Come è dovuta cambiare la missione della Fondazione?      
“Il Covid ha creato un problema globale in un momento in cui difficoltà si registravano già in molti ambiti, sia di carattere deconomico sia, come spesso avviene in questa situazioni, per un riverbero importante sotto il profilo sociale. E proprio quest’ultimo aspetto riguarda in modo particolare la Fondazione. Spesso viene dimenticato, ma questa crisi la subiamo anche noi e la dobbiamo gestire. Il nostro ruolo è un po’ quello di filtro: amministrare un patrimonio e gestire risorse che vengono dal mondo del profit per redistribuirle al no profit”.

La decisione della Bce di sospendere da parte delle banche l’erogazione dei dividendi per una fondazione che detiene l’1,6% delle azioni Unicredit si suppone abbia un impatto pesante sulle casse della Fondazione. Ci saranno contraccolpi?
“Viviamo un 2020 incerto e sul quale, certamente, pesano le regole della Bce sulla sospensione dei dividendi. Un provvedimento che condivido solo in parte. Credo che innanzitutto occorra la certezza che questo divieto sia applicato in tutti i Paesi europei, poiché in un momento di crisi di liquidità non distribuire in alcuni Paesi e farlo in altri creerebbe delle asimmetrie importanti. Fatta questa premessa, negli anni passati abbiamo costruito una posizione finanziaria netta forte che ci dà un po’ di respiro. L’impatto per quest’anno, che non sarà di grande ricaduta sui territori, è stimabile attorno al 30 per cento in meno. Il nostro primo dovere è quello di calibrare le risorse tenuto conto che il periodo di incertezza riguarda quest’anno, ma anche il prossimo”.

Affrontare l’emergenza e il post-emergenza. Come?
“Ovviamente subito siamo intervenuti con misure urgenti per acquistare materiale sanitario, ambulanze, respiratori, sostenere un welfare messo a durissima prova dal Covid, ma intanto ci si doveva porre il problema di come supportare il mondo delle imprese e del terzo settore. Sottolineo l’importanza del terzo settore, perché lo ritengo una fondamentale e solida paratia per arginare gli effetti della crisi economica in ambito sociale. Il Covid ci ha anche portati ad affrontare un aspetto, per alcuni versi nuovo o che comunque l’emergenza economica ha accelerato: come poter intervenire fornendo liquidità al mondo produttivo al quale direttamente non ci rivolgiamo. Si è trattato di un processo di innovazione finanziaria e di impact investing per creare un beneficio economico e sociale. Ci siamo attivati col progetto “Italia non si ferma”, lavorando attraverso la Fondazione Sviluppo e Crescita e con Finpiemonte sulla quota di garanzia non coperta dallo Stato, operando con Banca Generali e Credimi. Abbiamo liberato circa 40 milioni per le piccole e medie imprese del Piemonte e della Valle d’Aosta”.

Meno rigido il confine tra profit e no profit?
“Il ruolo delle fondazioni rimane ben definito, ma questo non significa andare sempre più verso un’ibridazione positiva tra profit e no profit. Aiutare il tessuto economico significa anche evitare emergenze sociali”.

Lei presiede l’Efc, il Centro Europeo della Filantropia, parola che evoca immagini ottocentesche e che, invece, al momento del suo insediamento definì come strumento capace di rafforzare l’identità europea. Cos’è oggi la filantropia istituzionale?
“Un settore che ha patrimoni per oltre 600 miliardi e genera flussi per 70. Non solo la classica e spesso utilissima charity, ma anche un’evoluzione in cui una parte importante può essere rivestita dalla capacità di coinvestimento con fondi europei. In Europa la fondazioni italiane sono viste con molto interesse come trait d’union tra profit e non profit. Un’evoluzione in cui credo molto.

Un’altra evoluzione che la Fondazione ha imboccato da tempo è quella verso lo sviluppo tecnologico e l’innovazione. Le Ogr ne sono il simbolo.
“Il tech e l’innovation sono settori fondamentali. Nelle Ogr si è voluto creare un’officina di innovazioni e di talenti: in questo la Fondazione esercita la sua funzione di connettore tra i vari soggetti. Mi piace ricordare che tutta l’operazione Ogr è stata fatta senza toccare un euro del patrimonio, ma usando quello che il patrimonio ha prodotto. Ecco perché sostengo che bisogna essere prudenti nell’amministrare il patrimonio ma osare molto nell’utilizzo dei suoi frutti. Crediamo molto nell’innovazione e crediamo che serva anche abbattere il paradigma rischio-rendimento che spesso frena proprio la ricerca e l’innovazione. Lavoriamo in un forte dialogo con partner come Microsoft, Ibm e l’Innovation Center di Intesa, ma anche con enti come la Rockefeller Foundation per sviluppare il valore pubblico dei big data”.

Cosa vede nel futuro vede per il Piemonte?
“Grandi opportunità se si saprà fare sistema. A questo proposito non posso non citare Il Centro Italiano per l’Intelligenza artificiale. Un’occasione veramente importante, alla quale bisogna lavorare in sinergia tra tutti i soggetti, gli atenei, gli enti territoriali, le Fondazioni, ma avendo come obiettivo un progetto di respiro nazionale che si sviluppa sul territorio e lo arricchisce. Non nego di intravvedere qualche rischio di eccessivo localismo. Per evitarlo serve coinvolgere anche personalità che sappiano guardare oltre il territorio. Questa è anche chiave di volta generale per uscire dalla crisi”.

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