I fallimenti dello Stato
Vito Foschi 07:49 Venerdì 09 Ottobre 2020
Nella vulgata comune è diffusa l’espressione “fallimento di mercato” per giustificare l’intervento dello Stato in svariati settori dove il mercato sembrerebbe non funzionare. Tale teoria è ovviamente sostenuta dai politici per poter giustificare l’espansione della spesa pubblica e aumentare il loro potere, ma nei fatti i fallimenti di mercato sono più una teoria che non qualcosa di concreto. Anche in un settore come le malattie rare in cui per le case farmaceutiche non esiste convenienza economica, c’è l’intervento del privato come associazioni e fondazioni che raccolgono fondi per sostenere la ricerca e dare una speranza ai malati. Il cosiddetto terzo settore o più semplicemente le organizzazioni caritatevoli sono comunque soggetti privati che agiscono nel mercato con gli stessi strumenti di un’azienda. Spesso molte differenziazioni sono introdotte più per creare confusione e portare acqua al proprio mulino, e non perché corrispondano ad una realtà effettiva.
I fallimenti dello Stato sono innumerevoli, ma nessuno li nota. Se pensiamo solo a due interventi recenti come quota 100 e reddito di cittadinanza è evidente che non hanno portato ai risultati sperati. Quota 100 doveva servire a un ricambio generazionale nelle aziende, ma a fronte di tanti pensionamenti le assunzioni di giovani sono state ben poche. Se passiamo al reddito cittadinanza che avrebbe dovuto accompagnare i beneficiari ad ottenere un lavoro è altrettanto evidente il fallimento di tale politica. Qualcuno parla mai di fallimento delle politiche pubbliche? E non vogliamo non ricordare decenni di politiche per il Mezzogiorno? Si può ragionevolmente affermare che siano stati efficaci e che il divario fra regioni del nord e regioni del sud sia stato risolto? Certamente c’è una differenza fra scopi dichiarati e scopi reali, ma una politica pubblica va valutata per gli scopi dichiarati e non per il fatto di essere una spesa clientelare che fa aumentare il consenso dei politici che l’attuano.
E cosa dire di quando lo Stato si mette a fare l’imprenditore occupando lo spazio dell’iniziativa privata? Un caso recente ed eclatante è quello di Alitalia, un fallimento sotto ogni punto di vista. Ai cittadini converrebbe che Alitalia fosse liquidata e pagare gli stipendi ai dipendenti per farli stare a casa, così da spendere meno. E cosa dire dell’acciaio? Dopo anni di perdite si vende e i privati riescono a ricavarci degli utili. Poi tramite una sentenza di un tribunale le acciaierie tornano allo stato e tornano a produrre perdite. E che dire dei trasporti locali? Un disastro.
E cosa dire delle banche? Monte dei Paschi di Siena è stata una gestione pubblica locale per poi finire nelle mani dello stato che ha dovuto metterci alcuni miliardi e adesso nessuno la vuole comprare per le maree di cause di risarcimento ancora in corso.
Anche attività che vengono comunemente associate alla gestione pubblica come la costruzione e la manutenzione delle vie di comunicazione non brillano certo per efficienza con strade dissestate e ponti crollati.
Questi sono solo alcuni esempi dei fallimenti delle politiche pubbliche, ma se ne potrebbero elencare molti altri. Perché invece di parlare dei fallimenti di mercato non si incomincia a parlare dei fallimenti pubblici? E nei fallimenti pubblici si perdono soldi dei cittadini, perché, ricordiamo lo sempre, lo Stato non ha risorse proprie.