Quei 35 giorni alla Fiat, quarant'anni fa 

Mi ficcò una manciata di gettoni in mano cacciando un urlo roco con qualche schizzo di saliva: “Telefona!”. Era il baffuto Tommasi, della Fiom, così si chiamava l’allora operatore unico Flm che seguiva la Fiat Avio di via Nizza. La data? Il 13 ottobre del 1980 e partii in treno, giovane delegato sindacale della Fim con due, anche loro allora giovani sindacalisti: Giovanni Contento e Roberto Di Maulo. Dove andavo? Mi spedivano a  Roma a seguire la trattativa Fiat dei 35 giorni ormai al culmine, il giorno dopo ci sarà la marcia dei quarantamila e nella notte si firmò l’accordo. Esatto dire che mi spedirono perché i vecchi capataz sindacali della Fiat Avio non avendo trovato la quadra su chi di loro doveva andare a Roma, decisero di mandare il giovane delegato inesperto e timido con un unico compito: dare notizie. Quali notizie?

La delegazione sindacale trascorse la notte bivaccando in una sala d’attesa al Ministero del Lavoro. Verso il mattino del 15 ottobre  il primo che apparve fu uno stanco Giorgio Benvenuto che ci informò della firma dell’accordo. Mi avvicinai timidamente e dopo che ebbe parlato con tutti rispose anche a me, con gentilezza signorile, come è sempre stato. Non so se facevo io tenerezza a lui vedendomi giovane, allora ventenne, oppure se lui la fece  a me leggendo sul suo viso l’amarezza,  la  delusione e la consapevolezza di cosa attendeva i segretari generali di Cgil-Cisl-Uil nella fabbriche con la dura contestazione che ne seguì. Intanto, sempre il 15 ottobre, inizia a Torino il “Consiglione” di Mirafiori, al Teatro Smeraldo in via Tunisi, che ora non esiste più.

Arrivammo da Roma nel pomeriggio del 15 ottobre e ci recammo al Consiglione, più che un Consiglio di Fabbrica, fu un happening: teatro pieno, urla, contestazioni, vociare, quasi impossibile ascoltare gli oratori. Ricordo un appassionante intervento di Franco Aloia, allora Segretario Fim, uno altrettanto rigoroso e puntuale di Bruno Trentin e dopo di lui un delegato di Mirafiori, Piero De Montis mi pare, che  demolì letteralmente l’intervento di Trentin tra scroscianti applausi. Quel tavolo in cui era seduta la migliore generazione del sindacalismo italiano, ci sarebbe un elenco lunghissimo (Lama, Carniti e Benvenuto; Trentin, Marini e Marianetti; Bentivogli (padre), Morese, Galli e Mattina, Veronese per la Flm) appariva intimidito, schiacciato dal peso della scelta fatta con l’accordo. Carniti fece le conclusioni ma il Consiglione proseguì e durò senza limiti di tempo; infatti a un certo punto ero stanco e affamato, andai a casa a cenare e poi ritornai in via Tunisi. Il tavolo della presidenza era ormai abbandonato ma gli interventi dei delegati proseguivano. Poi  la stanchezza mi vinse e seppi che i delegati rimasti, tanti, approvarono un testo che bocciava l’accordo.

Cosa ci rimane di quella stagione drammatica, di quella sconfitta? Sul piano personale fu un periodo molto impegnativo, ricco di esperienza da immagazzinare e che sarebbe diventata utile poi, nel formare carattere e idee. C’era stato l’esaltante contratto dei metalmeccanici del 1979, le vicende polacche da agosto 1980 nei cantieri navali con Walesa e Solidarność: “Danzica e Stettino facciamole a Torino” era uno degli slogan.

Quei due anni, 1979-80, furono per me la forgia sindacale e per la Cisl l’occasione per ripensare il modello sindacale da antagonista e conflittuale e al termine di un forte e lungo dibattito interno , alla Fim e nella confederazione, prese piede l’idea del “Sindacato della Partecipazione”. Un modello sindacale che, pagando anche un tributo di sangue al terrorismo rosso con la morte di Tarantelli, contribuì in modo determinante, con la recalcitrante Cgil, e passando dalla rottura dell’unità sindacale con l’accordo sulla scala mobile del 1984, a indirizzare tutto il sindacato confederale sul terreno della concertazione con Governo e Confindustria. Ricordo però sempre che la componente socialista della Cgil con Marianetti firmò l’accordo. Quindi ci fu rottura dell’unità sindacale ma soprattutto sconquasso in Cgil tra la componente comunista e quella socialista.

Successivamente gli accordi di predeterminazione dei punti di inflazione, con il meccanismo di anticipo e conguaglio, si conclusero con il Ccnl dei metalmeccanici del 2012 con un vantaggio a favore dei lavoratori di ben 80 euro. Poi dal 2016 la Fiom ha di nuovo firmato il Contratto Nazionale e di soldi freschi  ne abbiamo  visti pochini.

Ricordo che nel 2010, da segretario denerale della Fim torinese, in piena rottura sindacale da parte della Fiom, che non accettò gli esiti dei referendum di Pomigliano e Mirafiori sul Ccsl, andai al congresso territoriale della Fiom che “celebrò” il trentennale della sconfitta sindacale del 1980. L’Unità sindacale è possibile ma se si parte da due visioni degli eventi diversi diventa molto difficile. Un modello sindacale celebra le sconfitte; invece il modello cislino riflette sulle sconfitte evitando, soprattutto, di darsi ragione (ricordate gli asu d’Cavour!?...) ma di ragionare sulle scelte fatte per trarne ispirazione nell’impostare un sindacato nuovo.

Eppure in questi anni abbiamo faticato a percorrere una strada di innovazione sindacale. Siamo in perenne ritardo perché bisogna sempre attendere un pezzo di sindacato nostalgico, affettuosamente incrostato al passato, cha va faticosamente trascinato nelle scelte. Ricordate il film Mission quando Robert De Niro (il cacciatore di schiavi, Mendoza) risale la cascata trascinandosi dietro il suo carico di armi, rappresentante la penitenza per il suo pesante fardello guerresco del passato, continuando a scivolare indietro ma riprendendo sempre, caparbiamente, a risalire? Ecco, se ricordate quella scena è la rappresentazione immaginifica di cosa hanno dovuto fare in questi anni la Fim (De Niro) in casa dei metalmeccanici nei confronti della Fiom e la Cisl con la Confindustria e la Cgil. Salvo poi, nel tempo, aderire unitariamente alle nostre proposte. E ora sembra che il nuovo presidente Confindustria, arrivato da una fabbrichetta di 70 dipendenti, voglia ripercorrere quella strada ma noi cislini siamo sindacalisti. E pazienti missionari!

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