VIRUS GENERAZIONALE

Rottamiamo i giovani per i privilegi dei vecchi

La chiusura delle scuole non è affatto un fallimento del Governo. Al contrario, è una delle scelte politiche più riuscite. Perché il consenso politico si fonda sulla soddisfazione degli attuali 70/80enni, la generazione più ingombrante della storia - di Massimo Cavino

Nel 2017, facendo il verso ai fratelli Coen e a Cormac McCarthy, Giovanni Veronesi intitolava il suo film Non è un paese per giovani. Credo che questo possa essere il titolo adatto per illustrare con una immagine l’Italia nella morsa della pandemia.

Proprio in queste ore il Governo finge di valutare, con il comitato tecnico scientifico, i pro e i contra di una decisione che è già stata presa, ma di cui non vuole assumersi la responsabilità: la chiusura delle scuole e l’erogazione a distanza della didattica. Per preparare il terreno il Presidente del Consiglio ha lasciato un ampio spazio di manovra ai Presidenti delle giunte regionali che con le loro ordinanze hanno fornito ulteriori argomenti e soprattutto ulteriori alleggerimenti della responsabilità del Governo. Bisogna riconoscere che nel rifuggire alla responsabilità delle proprie scelte il Presidente del consiglio è veramente un maestro. I lanci di agenzia ci dicono che solo il Ministro della pubblica istruzione (non scriverò Ministra nemmeno sotto tortura) oppone una tenace resistenza: un po’ come se il comandante del Titanic, centrato l’iceberg, avesse ordinato di non calare le poche scialuppe a disposizione.

Lunedì, quindi, le scuole italiane potrebbero essere vuote; certamente lo saranno le scuole superiori piemontesi. La situazione dei trasporti, l’organizzazione degli spazi (ve lo ricordate il software creato questa estate dal Ministro Azzolina per conoscere l’ampiezza delle aule?) non lascia alternative. Già, è un dato di fatto. Ma la domanda che ci dobbiamo porre è come ci siamo arrivati a quel dato di fatto. E porcela ci porta ad altre domande. Domande impegnative del tipo “a chi tocca gestire i trasporti?”. Oppure domande più semplici, quasi banali: “Lo sapete che sui treni dei pendolari non sono state tolte le carrozze di prima classe che continuano a viaggiare vuote?”.

Certo si fa presto a criticare. Tu cosa avresti fatto? È strano: in un paese di sessanta milioni di commissari tecnici della nazionale, all’occorrenza virologi, non si è aperto nessun dibattito su come risolvere questi problemi. Mi aspettavo che qualcuno questa estate proponesse di aumentare il parco dei mezzi destinati al trasporto locale; che qualcuno arrivasse addirittura a proporre di utilizzare i mezzi dell’esercito (naturalmente non quelli utilizzati in modo terribilmente simbolico per trasportare le bare di Bergamo); che qualcuno si spingesse a dire che come si possono montare ospedali da campo, si possono allestire scuole da campo; si possono organizzare in modo coerente turni di accesso alle scuole.

Niente di tutto questo. Abbiamo scoperto a settembre inoltrato che i nostri figli non erano stati messi nelle condizioni di andare a scuola.

Sarebbe però veramente ingiusto considerare la chiusura delle scuole come un fallimento politico del Governo. Non è così: si tratta, al contrario, di una delle scelte politiche più riuscite; una di quelle che potrebbero riportare al Presidente Conte parte del consenso che gli ha sottratto la chiusura delle attività commerciali e dei ristoranti dopo le 18.

Già perché il consenso politico diffuso su cui si reggono i governi in Italia, non solo questo, ma in generale tutti i governi a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, riposa sulla soddisfazione degli attuali 70/80enni, la generazione più ingombrante della storia, quella che per prima è riuscita ad invecchiare illudendosi di essere giovane.

I diritti, gli interessi, le aspettative dei nostri giovani, quelli cha vanno a scuola, all’Università, quelli che cercano un lavoro, non sono una priorità. La cornice politica in cui si vanno ad inserire le decisioni è un modello culturale che potremmo definire come “la società dell’articolo 18”, quella che si specchia nei diritti dei tutelati, quella che vede frotte di dipendenti pubblici invocare il lockdown affermando che la salute vale più dell’economia. Quel modello culturale è stato elaborato proprio dalla generazione degli attuali 70/80enni (naturalmente è condiviso da molti più giovani tra quelli che figurano tra i tutelati e i garantiti) che non ne vogliono sapere di lasciare spazio ai giovani veri. Finché quel modello sociale e culturale sarà l’orizzonte del consenso politico dei governi, l’Italia non sarà un paese per giovani.

* Massimo Cavino, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico, direttore del Dipartimento di Studi per l’Economia e l’Impresa Università del Piemonte Orientale

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