C'è differenza tra leader e statisti

Giorni fa mi è capitato di pubblicare un post su Fb, uno dei tanti per la verità, con una foto raffigurante due grandi statisti, due leader politici e due esponenti storici del cattolicesimo politico italiano: Tina Anselmi e Carlo Donat-Cattin. Entrambi sono stati ministri del Lavoro e della Sanità. Due dicasteri, oggi e per note motivazioni, al centro dell’attenzione, e delle relative politiche. Aggiungevo, in quel post, a commento della foto dei due statisti democristiani, che “...quando la politica non era solo battutismo, propaganda, incompetenza, inesperienza, improvvisazione e cialtroneria”. Un post che ha suscitato solo consensi e plauso. Ovviamente, ed è scontato, per la statura, la storia e il profilo di Anselmi e Donat-Cattin.

Ora, al di là del post, credo che tracciare confronti tra la classe dirigente di quella o altre stagioni politiche meno lontane con quella contemporanea è, oggettivamente, impossibile. Per svariati motivi. Uno su tutti La classe dirigente politica, in questo caso di governo – salvo rarissime eccezioni – ma anche di opposizione, è oggi ad un livello così squalificato che diventa quasi impossibile considerarla, appunto, come ceto dirigente del Paese. Ma quello che preoccupa di più, nell’attuale contesto politico, è che questa classe dirigente deve governare una situazione drammatica nonché inedita. Indubbiamente la più difficile e la più inquietante dopo il secondo dopoguerra dello scorso secolo. E proprio in un contesto del genere, come ormai emerge in modo persin plateale dai commenti quotidiani su vari organi di informazione, la necessità e l’auspicio di avere un ceto dirigente di governo capace di rassicurare gli italiani e, al contempo, di saper indicare una strada, una bussola, una strategia o una visione si impone sempre di più.

Al di là delle polemiche e di ogni sorta di demonizzazione, esercizio persin troppo facile, contro chi oggi concretamente governa questo Paese. Quello che, semmai, oggi resta un nodo irrisolto nella politica italiana è quel carico di inesperienza, di incompetenza, di improvvisazione e di voglia di distruggere tutto ciò che è riconducibile al passato che continua a caratterizzare larghi settori della classe politica nostrana. E purtroppo anche della politica di governo. Cioè disvalori che hanno accompagnato e favorito la vittoria delle forze populiste e che, malgrado il sostanziale fallimento dell’azione di governo, sono ancora ben presenti e radicate nelle coordinate dell’attuale stagione della politica italiana.

Eppure non ci si può e non ci si deve rassegnare. La qualità, l’autorevolezza e il peso della classe dirigente politica, in particolare quella di governo, non è una variabile indipendente nel dibattito politico. Il rimpianto delle classi dirigenti del passato – nel caso specifico di Tina Anselmi e di Carlo Donat-Cattin – non può diventare oggetto di continuo rimpianto. La memoria storica è sempre importante ma non può scivolare in un atteggiamento di impotenza e di rassegnazione di fronte al progressivo decadimento del presente. In un modo o nell’altro occorre pur reagire. E lo sforzo principale è proprio quello di porre grande, grande, grande attenzione alla qualità e alla autorevolezza delle nostre classi dirigenti. Così, come ovvio, non può continuare.

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