EMERGENZA SANITARIA

Ecco perchè il Piemonte
è finito in "zona rossa"

Mentre migliora l'indice Rt, tutti gli altri parametri mostrano una regione in affanno, soprattutto sul fronte ospedaliero e nel contact tracing. Il livello di saturazione dei posti letto è al 97%. E per fare un tampone, dopo i primi sintomi, ci vogliono cinque giorni

Ha ragione Alberto Cirio a dire che i dati dell’indice di contagio (Rt) su cui si è basato il Governo per trasformare il Piemonte in Zona Rossa sono vecchi di dieci giorni e che quindi le misure di restrizione decise ieri non fotografano la situazione attuale. Ma la realtà è più complessa e per comprendere il quadro dell’andamento dell’epidemia nella regione va tenuto conto di una serie di indicatori. Stando ai numeri relativi a buona parte dei 21 parametri stabiliti dall’esecutivo per definire le misure restrittive, la situazione sarebbe addirittura peggiorata. Lo è per quanto riguarda l’occupazione di posti letto, per i focolai attivi, sul contact tracing e per le terapie intensive. E sono tutti evidenziati nel rapporto elaborato dall'Istituto superiore di sanità.

Qui gli indicatori del Governo per valutare le Regioni

Partiamo dalla nota più dolente, il vero tallone d’achille del Piemonte: oggi i ricoveri per Coronavirus sul territorio regionale sono 3.525 rispetto alle 23.226 sul livello nazionale.  Vuol dire che ogni sei malati di Covid che finiscono in ospedale uno è piemontese; in percentuale parliamo del 15%, a fronte di una popolazione piemontese che vale l’8% di quella Italiana. Secondo i dati Agenas il Piemonte ha già raggiunto il 97% dei posti letto occupati in quella che viene definita l’area “non critica” a fronte di una soglia di guardia indicata al 40%. Numeri che si riflettono nelle immagini che ormai da qualche giorno circolano e certificano la presenza di sempre più ospedali al collasso. Senza più posti letto in cui sistemare i pazienti, con barelle posizionate lungo i corridoi. In attesa che gli alberghi e gli ospedali da campo restituiscano un po' di respiro al sistema sanitario. Il 25 ottobre, data a cui risale il report che ha condannato il Piemonte alla Zona Rossa, il tasso di occupazione dei posti letto era del 25%.

Anche sulle terapie intensive la situazione non è delle migliori. La soglia d’allerta è del 30% di occupazione dei posti letto, in Piemonte siamo già oltre il 40% (249, anche in questo caso il dato più alto d’Italia, secondo solo alla Lombardia). Prima della pandemia i letti di terapia intensiva erano 327 e stando alle indicazioni contenute nel Decreto Rilancio se ne sarebbero dovuti aggiungere ulteriori 299, in realtà l’incremento è stato di appena 40 unità tant’è che ora per far fronte all’emergenza si è tornati a ricavare posti letto in altri reparti a scapito dei pazienti non Covid, che ovviamente non sono spariti. Il Veneto – tanto per citare i migliori della classe – che aveva una dotazione di 494 posti letto, ne ha attivati altri 331, nonostante per il Governo fossero stati sufficienti altri 211.

Chiarito questo, a chi indugia nel paragone con la Campania basti sapere che la regione di Vincenzo De Luca è al 36% di saturazione dei posti letto in terapia non intensiva e al 27% di quelli in terapia intensiva. Insomma, una situazione ben diversa. Dunque se è vero che la Campania sta avendo più contagi (anche perché, va detto, fa più tamponi) è altrettanto vero che il suo sistema sanitario sta dimostrando una maggiore resilienza di fronte all'epidemia.  

A incidere negativamente sulla situazione del Piemonte sono anche i dati sulla reattività del sistema. Il tempo tra la data di inizio dei sintomi e quella della diagnosi, due settimane fa (parliamo sempre del report cui fa riferimento il governatore) era di cinque giorni. Vuol dire che da quando il medico di famiglia segnala il caso di sospetto Covid al Sisp passano cinque giorni prima che venga fatto il tampone al paziente, due in più rispetto ai tre giorni previsti dai protocolli regionali. A giudicare da quanto sta capitando non è peregrino supporre che nel frattempo quei cinque giorni di attesa siano intanto diventati sei o sette.

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Nella settimana tra il 19 e il 25 ottobre i focolai attivi erano 2.150 rispetto ai 961 dei sette giorni precedenti, mentre il numero dei nuovi focolai di trasmissione è passato da 693 a 1.457. Nelle due settimane prese in esame è aumentata in modo significativo la percentuale dei tamponi positivi sul numero totale, passando da 9,6% a 17,2%. Con un trend in crescita che non si è arrestato fino a raggiungere il 22,3% di ieri. La riduzione dei tamponi negativi rispetto al totale indica una sofferenza del sistema di contact tracing, ed è un segnale il numero degli asintomatici (quelli cioè che vengono pescati attraverso il tracciamento del sistema sanitario e non la segnalazione del paziente) che è ormai stabilmente al di sotto del 50% (ieri al 44%, a metà settembre quando la situazione era ampiamente sotto controllo sfiorava il 60%). Il tutto è dovuto in parte a un altro atavico problema del Piemonte, cioè il personale. Non solo quello impegnato negli ospedali, anche quello dedicato al contact tracing: 239 persone in tutto; 0.6 ogni 10mila abitanti mentre la soglia minima è di 1 ogni 10mila. 

In questo scenario la riduzione dell'indice di contagio (Rt) della regione, da 1.99 del 15 ottobre a 1.66 del 22 ottobre, è comunque una buona notizia. La situazione migliore è a Torino città (1.36), con un Rt decisamente più basso rispetto a quello della sua area metropolitana (1.65). Le altre province, in ordine crescente, vedono Novara (1.39), Vercelli (1.42), Asti (1.67), Alessandria e Biella (1.70), Cuneo (1.78) e Vco (2.08).

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