EMERGENZA ECONOMICA

Ogni piemontese perderà 2.800 euro per colpa del Covid

Ai torinesi andrà ancora peggio, ci rimetteranno oltre 3mila euro rispetto all'anno precedente. Il Pil del 2020 scivolerà allo stesso livello del 1995. Pessime le previsioni sull'occupazione: 39mila posti di lavoro in fumo in soli dodici mesi

A causa del Covid, quest’anno ogni piemontese perderà mediamente quasi 2.800 euro, precisamente 2.792 euro. A fronte di una perdita media nazionale di 2.484 euro, andrà peggio per le finanze dei torinesi che ci rimetteranno ben 3.141 euro. A stimare la contrazione del valore aggiunto per abitante a livello provinciale è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Con una previsione di caduta del Pil di 10 punti, farebbe tornare la regione ai livelli reali del 1995, ovvero venticinque anni fa. Tra le province in cui si faranno sentire maggiormente gli effetti della pandemia sono in testa Novara e Cuneo (-2.666 euro, con rispettivamente un -9,9% e -9,2% sul 2019), mentre se la passa meglio, si fa per dire, il Vco (-1.749 euro, -7,9%). In mezzo le altre: Vercelli (-2.394 euro, -9,5%), Alessandria (-2.224 euro, -8,5%), Biella (-2.129 euro, -8,7%) e Asti (-1985 euro, -8,6%).

Numeri da far accapponare la pelle, anche perché come avvertono gli autori del rapporto precisano i dati sono “sicuramente sottostimati”. Aggiornati al 13 ottobre scorso, non tengono conto degli effetti economici negativi che deriveranno dagli ultimi Dpcm che sono stati introdotti in queste ultime due settimane. Altresì, precisano che in questa elaborazione la previsione della caduta del Pil nazionale dovrebbe sfiorare quest’anno il 10 per cento, quasi un punto in più rispetto alle previsioni comunicate il mese scorso dal Governo attraverso la Nadef (Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza).

“Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che entro la fine dell’anno chiuderanno definitivamente i battenti – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – rischiamo che la gravissima difficoltà economica che stiamo vivendo in questo momento sfoci in una pericolosa crisi sociale. In questa fase di emergenza, pertanto, tutto ciò va assolutamente evitato,  sostenendo con contributi a fondo perduto non solo le attività che saranno costrette a chiudere per decreto, ma anche una buona parte delle altre, in particolar modo quelle artigianali e commerciali, che, sebbene abbiano la possibilità di tenere aperto, già da una settimana denunciano che non entra quasi più nessuno nel proprio negozio. Infatti, solo se riusciremo a mantenere in vita le aziende potremo difendere i posti di lavoro, altrimenti saremo chiamati ad affrontare mesi molto difficili”.

Se nel breve periodo alle imprese sono ancora indispensabili massicce dosi di indennizzi, nel medio-lungo periodo, invece,  bisogna assolutamente rilanciare la domanda interna, attraverso una drastica riduzione delle tasse alle famiglie e alle imprese per far ripartire sia i consumi che gli investimenti. Purtroppo, la tanto agognata riforma fiscale verrà introdotta solo a partire dal 2022 e gli investimenti nelle grandi infrastrutture sono legati ai finanziamenti del Next Generation EU che, nella migliore delle ipotesi, arriveranno solo nella seconda metà del 2021, espletando il loro effetto solo a partire dall’anno successivo.

“Con una pressione tributaria insopportabile, una burocrazia opprimente che ingiustificatamente continua a penalizzare chi fa impresa e un calo degli investimenti molto preoccupante che colpisce soprattutto quelli di natura pubblica, c’è un’altra grossa criticità che rischia di penalizzare tante piccole e medie imprese - dichiara il segretario della Cgia Renato Mason –. Ci riferiamo alla nuova misura introdotta dall’Unione Europea in materia di credito. Per evitare gli effetti negativi delle esposizioni scadute, dal primo gennaio 2021 Bruxelles ha imposto alle banche di  azzerare in 3 anni i crediti a rischio non garantiti e in 7-9 anni quelli con garanzie reali. Ovviamente, l’applicazione di questo provvedimento indurrà gli istituti di credito ad erogare con estrema cautela i prestiti alle imprese, per evitare di dover sostenere delle forti perdite di bilancio nel giro di pochi anni”.

La preoccupazione, conclude la Cgia, riguarda la tenuta occupazionale. Se nei prossimi mesi il numero dei disoccupati fosse destinato ad aumentare a vista d’occhio, la tenuta sociale del Paese sarebbe a forte rischio. Grazie all’introduzione del blocco dei licenziamenti, quest’anno gli occupati scenderanno di circa 500 mila unità. Un dato certamente negativo, ma lo sarebbe stato ancor più se la misura sopracitata non fosse stata introdotta dal Governo nel marzo scorso. In termini percentuali in Piemonte la contrazione è del 2,2% che significa 39mila posti di lavoro persi solo sul 2019, anno in cui si era già registrato un forte calo occupazionale.

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