ANALISI

Disuguaglianze e fratture sociali, pensare oggi al dopo Covid

Non siamo tutti uguali di fronte al virus. Chi ha paura per il lavoro, per la sua attività non nega la gravità sanitaria, non è affatto un negazionista, piuttosto vive due paure che cumulandosi generano ansie terribili. Colloquio con la sociologa Saraceno

“Non vedo un pensare al dopo. E questo mi preoccupa molto”. Ci sono le paure, quella che ti sbatte in faccia con l’immagine della lunga fila di ambulanze nella notte e quella che trasforma lo sferragliare della serranda di mille negozi in altrettanti lamenti angosciosi. C’è questo nei nuovi giorni bui del Covid, troppo in fretta cancellati dal calendario scritto pochi mesi fa da chi sperava troppo e chi prevedeva troppo poco.

Le paure le vedi. Ma, come osserva con legittima preoccupazione Chiara Saraceno, quel che non si vede è un’idea, un progetto per quando il Covid sarà un terribile ricordo, ma gli effetti che ha prodotto saranno macerie economiche e non di meno sociali, “se non si pensa già adesso, subito a quel dopo che non si sa quando arriverà, speriamo presto, e che non potrà essere come prima”, prima che la pandemia producesse i suoi effetti sulla salute e sulla società.

“La paura del virus è peggiorata, accentuata rispetto a quella che ci aveva colto all’arrivo del Covid. È svanita l’illusione che tutto potesse essere finito, il rischio, il pericolo lo si sente ancora più vicino”, osserva la sociologa, a lungo docente all’Università di Torino e oggi honorary fellow al Collegio Carlo Alberto. “A questa paura si combina quella, non meno forte e non meno giustificata, per il futuro. Questo riguarda più alcuni che altri, ma non è certo vero che chi ha paura per il lavoro, per la sua attività neghi la gravità sanitaria del virus. Non è affatto un negazionista, piuttosto vive due paure diverse che cumulandosi generano ansie terribili”.

Quando, giorni fa prima della scelta di dividere il Paese in zone e colorare di rosso il Piemonte con le misure più stringenti, si ipotizzò un lockdown per gli anziani, lei si disse subito d’accordo. Ne spiegò la ragione così: “I nostri figli e nipoti hanno già pagato un prezzo fin troppo alto per questa pandemia. Nella primavera scorsa sono stati chiusi in casa, hanno fatto lezione a distanza, hanno rinunciato alla socialità per proteggere noi, gli anziani. Adesso basta. È la mia generazione che deve fare un passo indietro. Possiamo limitare la nostra libertà, se questo vuol dire lasciare le scuole aperte e permettere ai bambini e ai ragazzi di vivere la loro giovinezza”. Adesso, quando tutti a Torino e in Piemonte devono stare a casa, sorride ricordando “i miei coetanei che si arrabbiarono molto”, per quell’atto che non è solo generosità dei nonni verso i nipoti, ma è soprattutto guardare al dopo, come invece non si fa ancora nel modo dovuto da parte di chi dovrebbe farlo.

“Non avevamo ancora recuperato del tutto dalla crisi del 2008, eravamo già in affanno. Le disuguaglianze che si erano accentuate, adesso hanno negli effetti prodotti dal Covid un moltiplicatore. Ed è a questo che si deve guardare. Giustissimi gli ammortizzatori sociali, gli aiuti per le imprese, giusti anche i blocchi dei licenziamenti anche se io li riserverei solo a quelle aziende che hanno solide speranze di non sparire e per il resto una solida cassa integrazione, ma cosa succederà quando questo finirà? Non sento neppur più parlare del recovery fund”.

La paura di quel che accade oggi, con ospedali strapieni e strade vuote, il timore per quel che accadrà domani, quando il Covid non sarà più un’emergenza, ma l’emergenza sociale potrebbe essere ancora più grave. Il tessuto sociale va rafforzato fin d’ora.  Adesso c’è il problema di non lasciarlo esplodere, speriamo tenga la rete di solidarietà. Ma non basta lavorare non solo in termini caritatevoli, occorre lavorare sulle fratture di questa città”, avverte Saraceno.

“C’è chi sta perdendo moltissimo e non solo nell’oggi, ma anche in prospettiva ed è di questo che bisogna occuparsi. Disuguaglianze economiche, ma anche sociali. Pensiamo a quanto divide la didattica a distanza, a quanto segna ragazzi che hanno spazi e mezzi, non solo tecnologici ma anche culturali della famiglia e altri che tutto questo non hanno o hanno in maniera diversa e minore”.

Paura del futuro che quasi certamente sarà evidenziata da un ulteriore calo della natalità. “Tutti i demografi sono d’accordo che sia altamente improbabile che sia aumenteranno le nascite, non sembra un bel momento per mettere al mondo figli. Prima della crisi del 2008 avevamo avuto un breve e piccolissimo recupero, adesso la denatalità aumenterà ancora”, figlia dell’ansia e dell’incertezza. Paure e speranze, le prime da dominare, le seconde da costruire. “C’è molto da fare per il dopo, ma bisogna incominciare a lavorare già adesso. Purtroppo da maggio in avanti si è fatto poco di quel che si sarebbe dovuto fare. E mi pare – osserva la sociologa – che ci sia ancora troppo la tendenza, a vari livelli non solo politici, a non assumersi le responsabilità, la tentazione di scaricare il barile”. 

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