Spensierati nel paese dei balocchi

Quante comunità, quante società reali coabitano nel nostro Paese. Quali tra queste possono fare da riferimento alla consapevolezza e alla coscienza di una collettività avente diritti e doveri. Gli eventi tristemente noti di questi mesi hanno fatto spiccare alcuni aspetti del nostro carattere (paura, tenacia, immaturità, coraggio, altruismo, egoismo) che interagiscono con il modo di pensare e di comportarsi.

Due grandi categorie raccolgono al loro interno l’intera popolazione: da una parte coloro che si lasciano trasportare dalla forza delle maree, ossia dalle opinioni di chi stimola i ragionamenti “di pancia”; dall’altra chi passa del tempo su libri e giornali per il piacere di raccogliere informazioni utili a creare un’opinione di prima mano, scampando in tal modo da idee e giudizi predigeriti dai manipolatori di massa.

I primi godono di un passaporto speciale, del visto perenne d’ingresso nel Paese dei balocchi. Raramente costoro cadono in crisi esistenziali e di regola si affidano all’aggressività, soprattutto verso alcune categorie umane, per sfogare le proprie incontenibili frustrazioni. Queste persone credono di poter risolvere problemi complessi con soluzioni estremamente facili; la loro fiducia è monopolio dei politici che trasudano collera, nonché dei giornalisti urlanti e dediti alla fabbricazione di notizie specchio del loro carattere.

La vita è invece molto più dura per gli altri: gli appartenenti alla seconda categoria. Individui che approfondiscono i temi della politica selezionando accuratamente le fonti di informazione, che rispettano il prossimo con cui cercano comunque il confrontano, e che difendono con tenacia i beni della collettività. Costoro però soccombono quando sono costretti ad affrontare i populisti sul loro terreno, e raramente si sentono rappresentati a dovere dalla politica.

Le due categorie si allontanano l’uno dall’altro ogni giorno di più, ma la classe dirigente (tutta) ha deciso da che parte stare. La grave miopia dei vertici politici ha favorito scelte istituzionali incentrate sulla conservazione ottocentesca e favorevoli alla collera sterile, caratterizzate inoltre dalla totale assenza di coraggio nel mutare percorsi rivelatisi da tempo fallimentari. Il virus ha evidenziato le tante crepe che affliggono le basi della democrazia italiana. Fratture ignorate intenzionalmente e dagli effetti micidiali.

Solitamente illudersi di avere una buona vista, quando invece non si distingue un elefante da un gatto a pochi passi di distanza, può essere causa di cadute clamorose. La non conoscenza crea enormi difficoltà a chi pensa di scrutare l’orizzonte (del genere “vorrei ma non ne sono capace”). Ad esempio, la cieca illusione che l’epidemia avesse raggiunto il suo apice di diffusione nel mese di marzo ha generato l’immobilismo del potere locale: atteggiamento che di fatto ha aperto le porte alla “seconda ondata”. Allo stesso modo l’assenza di vigilanza diretta a frenare le abitudini scorrette, le pratiche derivate dal puro egoismo, ha generato un altro lockdown nazionale che ha “punito” pure chi rispetta le raccomandazioni e le direttive anticontagio.

Qualcuno trarrà da questa epidemia conforto e guadagno (anche grazie agli appalti sanitari) mentre altri affonderanno con le loro attività senza poter sperare in alcun salvagente. I lavoratori della Cultura e le associazioni Onlus non sono stati inseriti nemmeno questa volta nei decreti di sostegno economico alle categoria produttive, ma ad oggi nessuno osa escludere la società Autostrade dal risarcimento per i mancati guadagni, causati dalla minor presenza di autoveicoli ai caselli di pedaggio. Per la società concessionaria di gran parte della reta autostradale nazionale significa qualche centinaio di milioni di incasso sfumati: cifra sostanziosa che lo Stato dovrebbe rimborsare alla stessa impresa che è finita sulle prime pagine in seguito all’arresto di molti suoi dirigenti (ritenuti responsabili del crollo del ponte Morando, nonché di manutenzioni mai fatte).

In uno Stato in cui fosse presente una minima coscienza collettiva, cose di questo genere sarebbero condannate a gran voce da tutta l’opinione pubblica. Allo stesso tempo cittadini responsabili non accetterebbero la devastazione portata alla Sanità. L’esempio più eclatante arriva dalla Calabria: milioni di euro destinati al sistema sanitario gettati al vento e ospedali trasformati in bacini elettorali. Parlando di mancata tutela della salute non è possibile ignorare neppure il Piemonte, dove sono state spietate le chiusure di realtà ospedaliere (tranne durante l’assessorato Valpreda-Artesio). Altrettanto terribile è stato l’azzeramento delle strutture sanitarie territoriali, preziosissime in tempi di epidemia virale. Gravi scelte gestionali bilanciate tramite innumerevoli convenzioni stipulate con i privati. Sono molti i torinesi con diagnosi di sospetto Covid19 che attendono da settimane l’esame con il tampone, e tutti hanno potuto constatare il clamoroso flop dei test rapidi: annunciati molte volte con enfasi dai media, ma mai disponibili.

Il fenomeno migratorio rende possibile attuare la distrazione collettiva da temi delicati. E’ sufficiente dare la colpa ai rifugiati politici, a chi fugge dai disastri ambientali causati dal mutamento climatico, per giustificare il deficit dell’Imps, la scarsità di lavoro retribuito con salari dignitosi e la diffusione del virus. Il velo nero dell’intolleranza rabbiosa verso il mondo copre tutti i mali e ogni malafede. Il processo politico, anziché giudiziario, subito dall’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, ne è un ulteriore esempio, poiché sin dalle prime sedute il dibattimento è risultato deficitario di prove e di basi giuridiche: un teorema accusatorio costruito ad arte e forse a tutto vantaggio dei nazionalsovranisti.

Politica che non vede più in là del proprio naso, eletti che anelano al potere per nutrire l’autostima e i propri interessi a scapito dei diritti fondamentali posti a garanzia del popolo. Il Covid19 ha fornito drammaticamente più di un’occasione per aprire gli occhi, ma dal sonno della ragione è difficile svegliarsi. 

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