Saracco getta la spugna
13:15 Giovedì 26 Novembre 2020Il rettore annuncia la propria indisponibilità a correre per la poltrona di sindaco di Torino. Nel giorno in cui la coalizione sospende le primarie si rimescolano le carte. La sinistra ragiona su Salizzoni ma ora è il capogruppo del Pd in Sala Rossa Lo Russo a rafforzarsi
Entrato sindaco esce da semplice, si fa per dire, rettore. Nel giorno in cui il Partito democratico e il centrosinistra sospendono l’iter delle primarie per la scelta del candidato sindaco di Torino, Guido Saracco, per mesi il papabile più accreditato si sfila. Nelle prossime ore è attesa una comunicazione ufficiale per annunciare che la sua disponibilità è revocata. Dopo il corteggiamento con i maggiorenti del centrosinistra erano sopraggiunti i primi dubbi trasformati presto in vere e proprie resistenze, per quanto mai palesate in modo aperto, alla sua candidatura. Una situazione che aveva, comprensibilmente, iniziato a infastidire l’inquilino di corso Duca degli Abruzzi. “Ma come – è stato il rovello delle ultime ore – mi sono offerto per togliere loro le castagne dal fuoco e questi pensano ai soliti giochetti?”. E “questi” erano quegli esponenti delle variegate anime del Pd, ma anche di quelle componenti civiche, che attorno al suo nome avevano iniziato una guerra di logoramento. All’origine della decisione vi sarebbero anche gravi ragioni famigliari.
Torino 2021: Saracco, non mi candido
“Il rettore non sfonda” era l’sos che circolava già a settembre, allarmando i suoi principali sostenitori, primo fra tutti Sergio Chiamparino. L’ex sindaco e poi governatore, oggi consigliere regionale semplice ma rimasto gran burattinaio nelle retrovie, ha tessuto sin dall’estate la sua tela tra i banchi di Palazzo Lascaris, portando dalla sua parte (e quindi dalla parte di Saracco) i colleghi Mario Giaccone, a capo della lista domestica del Monviso, e soprattutto Marco Grimaldi, capogruppo di Luv, declinazione piemontese di Liberi e Uguali, in sostanza quel (poco) che resta della sinistra cittadina. Eppure non è bastato: con l’autunno, sul nome di Saracco, si sono registrate le prime fratture, a partire proprio dal polo civico. Nell’associazione Capitale Torino – di cui fanno parte, tra gli altri, l’ex ct della Nazionale di volley Mauro Berruto, il consigliere comunale Francesco Tresso, il chitarrista dei Subsonica Max Casacci – non sono mancati i distinguo al punto che mai quell’area ha potuto esprimersi in modo unanime a favore del rettore.
Anche nel Pd la situazione non è mai stata limpida. Più Saracco manifestava la propria riottosità a sottoporsi alle primarie, più il segretario torinese Mimmo Carretta s'adoperava a costruire una coalizione ampia proprio attorno a questo strumento, archiviato (per il momento) solo per cause di forza maggiore, cioè il Covid. Proprio nel Pd che avrebbe dovuto sostenerlo, anche perché rappresentava il trait d’union ideale con un Movimento 5 stelle di governo, in una riedizione in salsa torinese dell’alleanza che sostiene il Conte bis, hanno iniziato a fiorire candidature alternative. Il primo è stato il vicepresidente della Sala Rossa Enzo Lavolta, poi il capogruppo in Consiglio comunale Stefano Lo Russo, che fino a oggi sembrava l’alternativa più solida al “suo” rettore, essendo lui docente proprio al Politecnico. Pure la benedizione romana, su cui contava Saracco, non è mai arrivata. Anzi. L’area cattolica, capitanata dal deputato Stefano Lepri, che siede peraltro in segreteria nazionale ha lanciato nella mischia Luca Jahier, allora presidente uscente del Cese, organo consultivo dell’Unione europea, pare con il beneplacito di Piero Fassino.
Chiamparino aveva tentato di convincere nel famoso patto del carciofo il senatore di Torino Mauro Laus, visto il suo peso specifico nel partito, ma anche su quel fronte non è mai arrivata una totale adesione al rettore. E le spine del carciofo sono rimaste lì, aculei nel corpaccione del partito. “Aspettiamo, vediamo, ci penso su”. Così quella che doveva essere una guerra lampo è diventata una guerra di trincea che a lungo andare ha sovraesposto, logorandolo, il Magnifico. Il malcontento si è diffuso anche in alcuni settori del Politecnico, tra docenti e stakeholder che siedono nel Cda. Tutti preoccupati di vedere schierato l’ateneo in una competizione elettorale.
E ora che succederà? Come evitare che la rinuncia di Saracco venga letta all’esterno come un segnale di debolezza e difficoltà, alimentando la vulgata di un partito in affanno nel dialogare con pezzi importanti della città e sempre meno attrattivo per le sue classi dirigenti? È probabile che la carta di riserva che lanceranno proprio coloro che hanno coltivato la candidatura del rettore possa essere quella di Mauro Salizzoni, come anticipato nei giorni scorsi dallo Spiffero. Una riserva di lusso, ci mancherebbe, tanto è stimato e apprezzato il mago dei trapianti, anche se la questione anagrafica (è del 1948, classe di ferro del Chiampa) rappresenta un ostacolo non propriamente marginale per chi si propone di governare la città, prospettandone il futuro. In campo resta, e anzi si rafforza, la candidatura di Lo Russo. Al capogruppo che in questi anni ha tirato la carrretta dell’opposizione in Sala Rossa, incalzando Chiara Appendino e la giunta grillina, viene riconosciuta competenza amministrativa e buona conoscenza della macchina comunale, ma sconta un pregiudizio su una scarsa empatia nelle relazioni. Sarà lui, magari espressione (anche) di un patto generazionale a correre per riportare il centrosinistra alla guida di Palazzo civico? Chissà.