Web tax, proposta di retroguardia

La Regione Piemonte su iniziativa del centrodestra che la governa ha proposto una maggiorazione della cosiddetta web tax, ovvero della tassa che grava sui venditori online di una certa dimensione. L’attuale tassa è del 3% sul fatturato configurandosi come una sorta di aggravio dell’Iva. La proposta piemontese è di portarla al 15% e in caso di lockdown automaticamente al 30%. Un aumento del genere causerebbe un aumento dei prezzi spropositato perché non potrebbe che essere ribaltato sul consumatore come succede con l’Iva. Se non si fosse chiamata webtax, qualcuno avrebbe mai proposto un aumento dell’Iva dal 15% fino al 30%? La proposta per arrivare in Parlamento ha bisogno dell’appoggio di altre regioni e molti commentatori l’hanno bollata come una semplice boutade propagandistica per accattivarsi i piccoli commercianti. È evidente la difficoltà dei piccoli esercizi commerciali, prima messi in difficoltà dalla concorrenza dei centri commerciali e ora dal commercio online, ma è altrettanto evidente la mancanza di innovazione nel settore del commercio al dettaglio. Per esempio spesso gli orari dei negozi sono quelli di decenni fa come se le abitudini delle persone non fossero cambiate: per un pendolare rimane solo il sabato per potersi approcciare al piccolo commercio.

L’Italia sconta una generale arretratezza tecnologica che si fa sentire in tempi di smart working e dad, in cui è evidente ai più l’importanza di una rete dati ad alta velocità senza la quale si rischia di essere tagliati fuori dalla modernità. Quante scuole hanno una connessione veloce? E quante aziende arrancano per la scarsa dotazione tecnologica?

I proventi della webtax dovrebbero andare a ristorare in qualche modo i piccoli esercizi commerciali, ma l’effetto immediato è una contrazione dei consumi con danno immediato per gli acquirenti che oltre a non potersi rivolgere al piccolo commercio si vedono penalizzati gli acquisti online. Non si dimentichi che quando a marzo e aprile eravamo confinati in casa è stato grazie ai vari servizi online e alle consegne a domicilio se molti sono riusciti a fare la spesa. Bisogna aggiungere che un’azienda come Amazon fornisce un servizio di immagazzinamento, gestione ordini e consegne per conto terzi che permette anche a piccoli produttori o artigianali di poter effettuare delle vendite online.

Se si pensa che i giganti del web paghino poche tasse rispetto ai piccoli commercianti, perché non ridurre semplicemente le tasse ai piccoli commercianti? Perché non ridurre l’Imu sui locali commerciali per esempio? O l’imposta sulle insegne? O ridurre l’Iva? E così via.

Ci sono anche esempi positivi di commercianti che hanno sfruttato il lockdown per sviluppare i canali online. Per esempio esiste un negozio di abbigliamento che utilizza Facebook, mostrando tramite dei video i suoi capi che poi possono essere ordinati.

Come ogni altra imposta che mira a spostare risorse da un settore ad un altro, non può che creare un’allocazione non efficiente dei fattori produttivi e un ritardo tecnologico con cui prima o poi bisognerà scontrarsi. Le imposte dovrebbero essere le più neutre possibili senza produrre distorsioni che determinano scelte non ottimali degli imprenditori e dei consumatori. In Italia il fisco è una giungla in cui si affastellano tanti regimi fiscali e spesso una scelta di investimento non è dettata da una scelta di mercato, ma piuttosto per sfruttare un regime fiscale agevolato. Più che creare nuove imposte e tasse bisognerebbe sfoltire quelle esistenti cercando il più possibile di creare un regime fiscale neutro.

Se proprio si vuole fare una politica interventista e aiutare le aziende italiane contro i colossi del web perché non procedere a sgravi fiscali per gli investimenti nelle tecnologie digitali? Per mantenere una certa neutralità fiscale non sarebbe il caso di abbassare l’Iva su macchinari e attrezzature aziendali?

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