EMERGENZA SOCIALE

"Gli studenti non sono untori, la dad può fare danni enormi"

Adolescenti e preadolescenti sono fragili così come gli anziani e l'isolamento prolungato provoca in loro ansia, paure, disagio e talvolta depressione: "Un pc non può sostituire la scuola". Parla la psicologa dello sviluppo Angelica Arace

Negozi aperti e scuole medie e superiori ancora chiuse. Il Piemonte esce dalla zona rossa, ma i suoi studenti restano in lockdown a tempo indeterminato. Le emergenze oggi sono altre, certo, ma alla lunga quali conseguenze possono determinarsi per quei giovani privati dei loro rapporti e dei loro spazi, di una socialità fatta di contatto continuo e ridotta ormai a un costante vis a vis con lo schermo? Secondo Angelica Arace, docente all’Università di Torino di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione “il diritto all’educazione non può essere in antitesi con il diritto alla salute”. E in quest’ambito “c’è stata una non sufficiente valutazione degli esiti della didattica a distanza sulle conseguenze psicologiche dei ragazzi”. Un pensiero condiviso all’interno della comunità scientifica, tra psicologi e psichiatri, finora rimasti inascoltati.

Professoressa Arace, perché la didattica a distanza non basta per i ragazzi di medie e superiori?
“Innanzitutto dobbiamo decidere cosa è per noi la scuola. Se si tratta solo di un luogo preposto al trasferimento top down di contenuti allora va benissimo la dad. Ma noi sappiamo che la scuola è molto di più: è un luogo di crescita e di sviluppo della propria identità a trecentosessanta gradi; di educazione e relazioni. Tutto questo è difficile attraverso un mezzo tecnologico”.

Quali fasce di età patiscono di più l’assenza dalla classe?
“Non è solo una questione di età, ma certamente chi frequenta le superiori ha strumenti maggiori per adattarsi. Alle medie gli studenti prima ancora che dei contenuti imparano un metodo di studio, affrontano processi di autoregolamentazione, iniziano a scoprire i propri talenti attraverso i quali scelgono la propria strada in un percorso che dura fino alla maturità”.

E tutto questo non è possibile attraverso un pc o uno smartphone?
“Certamente i ragazzi più dotati e più seguiti dalla famiglia riusciranno a stare al passo, pur tra varie difficoltà. Ma quelli che già fanno fatica a rimanere concentrati in classe, con scarse motivazioni e difficoltà di apprendimento rischiano di andare in crisi. E in questo senso la dad può incrementare le diseguaglianze e le opportunità di apprendimento per i ragazzi: i più bravi e i più seguiti dalla famiglia non rimarranno indietro, gli altri rischiano di perdersi”.

È una questione esclusivamente didattica o anche sociale?
“Il problema è soprattutto sociale. Gli adolescenti hanno bisogno di cercare la propria autonomia al di fuori della sfera familiare, sia nel rapporto con gli adulti che in quello con i propri pari. Devono sperimentare se stessi in contesti nuovi, esposti a nuovi stimoli sociali. Hanno bisogno del gruppo perché nella relazione con il gruppo trovano la propria identità. Se noi togliamo loro gli spazi sociali storicamente adibiti a questo loro dovranno per forza trovare altre strade che però hanno molti rischi”.

Cosa intende?
“Dico che stiamo rafforzando in questa generazione la tendenza a sostituire le relazioni faccia a faccia con rapporti virtuali e digitali mediati dai social. Se chiudiamo i ragazzi in casa l’unico modo che diamo loro per relazionarsi con gli altri sono i social media, strumenti che già in condizioni normali necessitano di un controllo attento”.

Quali sono i rischi di una sovraesposizione sui social?
“È un tipo di relazione molto veloce in cui il cervello è costantemente sollecitato. Questo può portare a una difficoltà sempre maggiore a relazionarsi faccia a faccia con le persone, cali di tensione, alterazione dell’umore e del sonno”.

L’isolamento forzato durante la scorsa primavera ha provocato delle conseguenze che potrebbero essere ulteriormente amplificate con la seconda ondata dell’epidemia?
“Teniamo conto che è proprio nell’adolescenza e nella preadolescenza che si manifestano in modo fisiologico i primi sintomi di disagio a livello psicologico. È evidente che in un contesto come quello attuale questi fenomeni vengono amplificati e infatti abbiamo avuto un incremento di casi di ansia, paure, disagio e anche sentimenti di depressione”.

Abbiamo sempre identificato gli anziani come categorie fragili, ancor di più durante questa epidemia. Forse si è sottovalutata la fragilità emotiva di tanti adolescenti?
“È proprio questo il punto. I ragazzi tra i 12 e i 16 anni sono ad alto rischio. Sottoposti a un’infinità di stimoli e a enormi aspettative nei loro confronti che spesso non sanno gestire. Sono alle prese con un corpo che cambia e un’emotività nuova. Si stanno perdendo fondamentali riti di passaggio come gli esami scolastici, le gite, le prime uscite. E noi tutto ciò che stiamo facendo è metterli all’indice, definirli irresponsabili per i loro atteggiamenti e indicarli come coloro che a causa della propria irresponsabilità faranno morire i propri nonni”.

E allora come se ne esce?
“Stringendo con loro un patto. Trattandoli come futuri adulti. Assegnando loro una responsabilità che sapranno ripagare, non certo dicendo loro che non ci fidiamo e quindi preferiamo che restino in casa”.

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