Invece di piangere vendiamo fazzoletti

A ogni refolo di vento sulla fusione tra Fca e Psa sorge sempre la domanda se la nostra industria automobilistica sarà in grado di reggere il confronto con l’indotto di Psa. Alcune risposte le troviamo analizzando lo stato di salute dell’industria dell’automotive nel pregiato rapporto annuale dell’Anfia e Camera di Commercio torinese in collaborazione con Ca’ Foscari.

Su tutto aleggia la fusione delle due società in Stellantis dove i vantaggi sono di entrambe le parti con Psa che allarga il suo raggio d’azione sui mercati americani e Fca beneficia della rete di vendita del gruppo francese in Europa. I rispettivi brand hanno scarse sovrapposizioni, Jeep non ha concorrenti, insieme a Maserati e alle versioni endotermiche ed elettriche di 500E e Panda. Ma non soffre nemmeno Alfa Romeo e molti dimenticano la potenza dei brand Ram e Dodge nel nordamerica. Con la fusione si capisce invece l’abbandono di Fca nella fascia del segmento B con la Nuova Punto che ha una sovrapposizione con i francesi.

Uno dei punti di forza dei nuovi prodotti saranno le piattaforme comuni, perché uno dei cardini di una fusione è standardizzare per ridurre i costi. La vecchia Punto subisce necessariamente una standardizzazione in un segmento dove Fca non era più presente. Ma per capire l’orientamento dell’indotto piemontese chiediamo aiuto al rapporto Anfia 2020: “Nonostante le incognite legate a questa operazione di integrazione, oltre i due terzi delle imprese rispondenti (il 67,5%) ritengono si tratti di un’opportunità: principalmente per la possibilità di aumentare i volumi di produzione grazie all’adozione di piattaforme comuni; in secondo luogo per le opportunità di apertura verso nuovi mercati; infine, per l’effetto di stimolo alle collaborazioni tra imprese della filiera motivate dal rispondere alle nuove richieste di un produttore globale”.

In questo quadro l’indotto piemontese ha sicuramente forti possibilità di affermarsi purché sia consapevole che i prossimi anni sono di forte cambiamento tecnologico, organizzativo, di prodotto con la crescita continua dell’elettrico e caduta del diesel che fa però crescere l’inquinamento. Infatti, l’aumento delle vendite di auto ad alimentazione alternativa non è stato sufficiente a contenere l’aumento delle emissioni di biossido di carbonio.

Un indotto automotive piemontese che prosegue ma fatica a internazionalizzarsi con il mercato estero rappresentante, nel 2019, il 40,8% del fatturato. I dieci Paesi top con destinazione dell’export vede la Francia al secondo posto (10,5%), segnale positivo nella possibilità di estendere il ruolo di indotto Stellantis. Con al primo posto sempre la Germania, con 4,63 miliardi di Euro (21%), seguono al terzo UK (8%), Spagna (7%), USA (6%), davanti a Polonia (6%), Turchia (4%), Austria (3%), Brasile (2,6%) e Repubblica Ceca (2,6%).

Il rapporto Anfia 2020 conferma, per il Piemonte, l’Emea come principale area macroeconomica per l’export di componenti automotive, con il 74,8%. Lentamente, nel corso degli anni, si conquistano anche quote nell’area asiatica. Allora proviamo a vedere alcuni punti di debolezza su cui bisogna lavorare nei prossimi anni per rafforzare il sistema automotive Italia magari indicandolo come uno dei settori portanti del PNRR del Governo considerando che lo sviluppo della mobilità elettrica (quella vera non il monopattino) è dentro la green economy e quindi deve avere riconoscimenti importanti negli stanziamenti del Recovery Plan.

Una delle prime criticità, secondo il Rapporto 2020 è la dimensione media, un’azienda italiana del settore è di circa 70 dipendenti, generalmente più grande di una media impresa manifatturiera italiana, ma non abbastanza da riuscire a tenere il passo con la trasformazione globale. Perciò, aziende che si trovavano già in difficoltà a seguire i trend dell’innovazione legati allo sviluppo del veicolo elettrico si sono trovate a subire ulteriori criticità.

Oggi la vendita dell’auto è molto legata anche alla gestione dell’aftermarket, della manutenzione programmata mentre invece in Piemonte la produzione di componentistica è ancora fortemente ancorata al primo impianto, con l’89% dei produttori e il 75% del fatturato, e tale caratterizzazione la rende anche più vulnerabile alla dinamica del mercato delle nuove immatricolazioni, anche se la quota di imprese operanti nell’aftermarket è stabile al 66%, che però incide solo per il 25% sul fatturato. (un esempio, probabilmente, è SKF nel pinerolese che produce molto, anche nell’aftermarket del cuscinetto per auto ma il suo fatturato deriva, soprattutto, dall’avio e cuscinetti speciali di Villar Perosa).

Sempre secondo Anfia: “La progettazione di investimenti produttivi è orientata in primis al con-solidamento della presenza sui mercati di prossimità (Germania in prima battuta), ma resta centrale l’obiettivo di penetrare nei mercati asiatici (Cina). La stessa analisi, focalizzata sugli investimenti futuri in termini di esportazioni, vede un rafforzamento dei flussi verso il Vecchio Continente, con Germania, Francia e Polonia sui primi tre gradini del podio”. Male invece l’analisi sul rafforzamento dei rapporti commerciali già esistenti: il 22% dei fornitori piemontesi che oggi esportano prevede nel breve periodo di intensificare i rapporti commerciali in almeno un Paese estero; oltre un’impresa su dieci che vende oltre confine prevede di penetrare su nuovi mercati e, infine, il 6,3% delle imprese piemontesi che non esportano prevede di farlo nel prossimo anno. Queste risposte delle imprese all’indagine evidenziano uno dei deficit derivanti dal provincialismo e nanismo, già evidenziato dai dati precedenti delle imprese piemontesi. Eppure il Presidente del Gruppo Intesa Sanpaolo ha dichiarato che a settembre 2020 sul 2019, quindi in tempi di pandemia, il risparmio delle imprese è cresciuto del 24% circa.

Nel 2019, il 78% dei fornitori ha dichiarato di aver effettuato attività di innovazione (era l’88% nel 2018 e poco meno del 90% nel 2017). Il calo ha riguardato principalmente lo sviluppo di nuovi prodotti che, tra il 2017-19 ha interessato poco più del 38% delle imprese indagate dal rapporto Anfia (contro il 42% del triennio 2016-18). Più stabili, se considerate nel medio periodo, le innovazioni di processo, che hanno coinvolto il 75% dei rispondenti (in crescita rispetto al triennio precedente), dato che ha contribuito a mantenere elevata la quota di imprese regionali che nel 2019 ha dichiarato di aver investito almeno una minima parte di fatturato in R&S (il 70,6%).

Concludo citando un barista di corso Francia che ha appeso fuori dal suo bar questa massima filosofica, spiccia e validissima: “In tempi di crisi, c’è chi piange e chi vende fazzoletti”. Impariamo da una persona normale che in tempi di crisi, rispettando tutte le regole, si è rimboccato le maniche. Vendiamo fazzoletti, tanti...

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