Pd e 5 stelle, quando il matrimonio?

Diciamoci la verità. Il vero nodo politico in vista delle prossime elezioni amministrative, a cominciare da Torino, è la potenziale alleanza politica tra il Partito democratico e il partito dei 5 stelle. Del resto tutti sanno che quando c’è un’alleanza politica e di governo a livello nazionale, di norma, quella coalizione viene trasferita a livello locale e periferico. Come, coerentemente, sostengono – chi più e chi meno – chi guida quei due partiti a livello centrale. Ma, forse, adesso è necessario anche essere chiari e trasparenti, sciogliendo quel nodo che appare sempre più inestricabile. Certo, la recente esperienza non gioca affatto a favore. Dove si è votato con una alleanza politica ed elettorale blindata tra il Pd e il partito di Grillo, è stata una batosta senza precedenti. L’Umbria e la Liguria sono ancora lì a confermarlo. Però, ripeto, adesso è arrivato il momento per dire parole chiare su questa benedetta alleanza politica tra il Pd e i 5 stelle. E il vero nodo, tanto per cambiare, è sempre quello. E cioè, il nome e il cognome del sindaco.

Com’è possibile, per restare a Torino, che un candidato autorevole e qualificato come Stefano Lo Russo non possa puntare ad essere il futuro sindaco di Torino perché, forse, non è sufficientemente gradito all’elettorato dei 5 stelle? Delle due l’una: o l’alleanza tra i due partiti è politicamente blindata e allora tutti i veti personali e politici sono legittimi e comprensibili, oppure si tratta solo di opinioni del tutto trascurabili ai fini della formazione della coalizione e della individuazione del candidato a sindaco.

Ora, tutti sappiamo quali sono state le motivazioni reali per cui è nato questo governo lo scorso anno. Al netto della deriva autoritaria, della destra illiberale, della concentrazione dei poteri o del possibile ritorno della minaccia fascista – tutte tesi che, come ovvio, non hanno alcuna rispondenza nella realtà italiana di tutti i giorni – gli unici due elementi che sono stati decisivi per la formazione del governo erano, da un lato non scivolare nelle elezioni anticipate per evitare una quasi certa vittoria del centrodestra e, dall’altro, garantire lo stipendio assicurato a chi ha trovato nelle elezioni politiche del 2018 una fortuna non replicabile. Dopodiché il Governo è decollato e meno male che c’è – almeno a mio parere – e che continua a operare, seppur tra mille difficoltà e contraddizioni, come dimostrano concretamente gli avvenimenti di questi giorni.

Ma, al di là di questa considerazione ormai nota e unanimemente conosciuta e che non è certamente una notizia, adesso è il momento della scelta politica. E, soprattutto, della chiarezza. Parlo della alleanza o della coalizione futura tra il Pd e il partito dei 5 stelle. Sotto questo versante, come capita spesso, l’unico esponente politico di rango ad essere stato chiaro e trasparente sin dall’inizio è stato Dario Franceschini che ha sostenuto, con coerenza e tempestività, che l’alleanza con i 5 stelle doveva essere strutturale ed organica. Ovvero, un progetto politico a lunga scadenza senza più eccezioni o eventuali deroghe. Sul punto specifico, invece, molti altri esponenti dem sono stati altalenanti ed incerti. Costretti all’alleanza a livello nazionale per le note motivazioni ma molto più perplessi a livello locale nell’estendere questo modello. E proprio l’esempio di Roma e di Torino, al riguardo, sono troppo emblematici per essere ulteriormente analizzati.

Ecco perché, di fronte a questo quadro articolato e variegato, è sempre più necessario indicare punti fermi e soprattutto chiari sia sul versante del progetto politico e sia, ancor più, su quello dei contenuti e dei programmi. Ai 5 stelle credo sia inutile chiederlo perché da quelle parti l’unico dato che conta adesso è consolidare posizioni di potere. Con qualsiasi alleato e con qualunque politica, come la concreta esperienza ha persin troppo platealmente confermato. La chiarezza, ancora una volta, deve arrivare dal Pd che resta un partito politico organizzato, radicato nel territorio e con una leadership, nazionale e locale, di tutto rispetto. Ma questo nodo adesso va sciolto. E questo non solo per la qualità e la prospettiva dell’ex centrosinistra ma anche, e soprattutto, per come si articolerà nel futuro la dialettica politica italiana tra i diversi schieramenti.

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