EMERGENZA SANITARIA

Infermieri Asl "bloccati" nelle Rsa, scontro tra Regione e sindacati

Duro attacco di Nursind alla delibera che mantiene in servizio nelle case di riposo il personale sanitario neoassunto, pur essendo dipendenti pubblici. Preoccupa la bassa adesione alla vaccinazione e resta irrisolto il nodo del consenso degli ospiti

Gli infermieri e gli operatori sociosanitari che lavorano in una Rsa e che vengono assunti, tramite bando, dalle Asl, se vi sarà necessità, resteranno al loro posto pur essendo ad ogni effetto dipendenti pubblici e godendo del trattamento economico previsto dal contratto triennale. È quanto ha stabilito la Regione Piemonte per frenare l’emorragia di personale dalle strutture assistenziali, mettendolo nero su bianco in una delibera che, però, adesso il sindacato degli infermieri Nursind chiede venga ritirata definendola “una pezza peggio del buco”.

La questione è quella drammaticamente nota della carenza di personale sanitario, sia nelle strutture per anziani e disabili sia negli ospedali, così come nei servizi territoriali. La coperta è corta, s’è detto innumerevoli volte in questi mesi. Tocca tirarla, un po’ di qua e un po’ di là. E quando si è capito che l’apertura dei bandi per le assunzioni – “tutte quelle che servono, senza limiti di spesa”, ha ripetuto più volte l’assessore alla Sanità Luigi Icardi alle Asl – avrebbe finito per spostarla troppo sul versante ospedaliero e territoriale lasciando pericolosamente scoperta la parte più fragile qual è quella delle case di riposo si è corso ai ripari, nell’unico modo all’apparenza possibile. Assumere il personale attualmente in servizio nelle Rsa, ma senza che questo significhi l’abbandono dell’attuale posto di lavoro, con le conseguenze di cui purtroppo ci sono state già pesanti avvisaglie negli ultimi mesi con dimissioni cui vanno, purtroppo, ad aggiungersi i casi di malattia portando il livello di personale nelle strutture al limiti e talvolta al di sotto del livello di guardia. Un “congelamento” della sede di lavoro fissato fino alla fine dello stato di emergenza e comunque possibile fino al 30 giugno prossimo. La delibera dello scorso 1 dicembre prevede, inoltre che le Rsa, “rimborsino” alla Regione il corrispettivo dello stipendio del dipendente “distaccato”. 

Un sistema che Nursind, contesta e chiede di rivedere. “Il testo unico del pubblico impiego prevede la possibilità previo accordo tra le parti che i dipendenti possano lavorare presso imprese private, ma solo su base volontaria. Nella delibera è previsto invece un obbligo scritto sul contratto individuale del dipendente”, osserva Giuseppe Summa, segretario provinciale del sindacato. “In questo modo anziché potenziare gli ospedali e prepararli ai prossimi mesi che saranno durissimi, si svuotano di infermieri e oss. La Regione – prosegue il sindacalista –  prevede che l'azienda pubblica si comporti come un’agenzia del lavoro e il dipendente da un punto di vista funzionale e organizzativo dipenderà dalla struttura. Inoltre quest'ultima dovrà rimborsare lo stipendio e i relativi oneri all’azienda pubblica e visto le condizioni nelle quali versano alcune, non è difficile pensare che la pubblica amministrazione farà ancora una volta da parafulmine”. 

Ma è forse questo il punto cruciale della situazione e ragione della richiesta di rivedere la norma: “Molti dipendenti  hanno fatto domanda per andare via  da queste strutture, spesso scappano proprio per le condizioni di lavoro. E invece si vedranno costretti a restare lì per tutta l'emergenza. Per non dire del bando per assunzioni a tre anni da giorni sospeso dall'Asl Città di Torino per una questione legata ai titoli e non ancora sbloccato"

Un ulteriore problema che si aggiunge a quelli che gravano sul lato più fragile della lotta al Coronavirus. Se la Regione ha avviato l’iter per una legge con cui erogare aiuti economici alle Rsa, di cui si è parlato nuovamente oggi nel corso della commissione Sanità durante la quale le minoranze hanno mosso alcune critiche sull’ammontare dei ristori e sull’assenza di questi per le cooperative che si occupano di assistenza domiciliare, ad oggi la preoccupazione maggiore e di impellente soluzione riguarda i vaccini.

Ancora da sciogliere, senza che dal Governo e dalla struttura commissariale diretta da Domenico Arcuri sia arrivato alcun segnale, la questione del consenso informato per gli ospiti che non hanno un tutore legale, né un amministratore di sostegno, ma non sono nelle condizioni di poter decidere in maniera autonoma e in piena coscienza. Antonio Rinaudo, l’ex magistrato a capo dell’organizzazione per la campagna vaccinale in Piemonte nei giorni scorsi ha spiegato come l’unica via sia quella della nomina di un amministratore di sostegno in tempi brevi. Tempi che solitamente sono di parecchi mesi e che è facilmente immaginabile quali sarebbero nel momenti in cui i tribunali si vedessero presentare qualcosa come 15mila e più richieste. Lo stesso Rinaudo, in commissione, ha in qualche modo sollecitato un atto del consiglio regionale per rafforzare la richiesta al Governo di una soluzione. 

Come se non bastasse la percentuale di personale infermieristico e oss in servizio nelle case di riposo che ha espresso la volontà di sottoporsi al vaccino è drammaticamente bassa, non più del 30 per cento. Dati riferiti a quando ancora non era a disposizione il bugiardino del prodotto della Pfizer e antecedenti al Vax day di ieri. La speranza è che la percentuale salga. Ma se non avverrà in maniera molto consistente e non si troverà in fretta la soluzione giuridica per poter vaccinare quelle migliaia di anziani che non sono in grado di decidere da soli, per le Rsa sarà una drammatica tempesta perfetta.

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