LOTTA AL COVID

Vaccinazioni al palo nelle Rsa, Piemonte fanalino di coda

Solo 2mila anziani su oltre 27mila hanno ricevuto la prima dose. Al fondo della classifica nazionale. Veneto e Toscana hanno iniziato a immunizzare molti più ospiti delle strutture. Assandri (Anaste): "Non superato il problema del consenso informato"

Dovevano essere il primo obiettivo, insieme al personale sanitario, della campagna vaccinale. Invece, in Piemonte, gli ospiti delle Rsa sono gli ultimi in questa prima fase. Numeri ancora troppo bassi quelli degli anziani che hanno ricevuto la prima dose del farmaco Pfizer, bassi rispetto alla popolazione complessiva dei ricoverati nelle oltre 700 strutture, ma anche se raffrontati ad altre regioni per molti aspetti simili al Piemonte.

Delle 47.335 dosi inoculate dall’avvio della campagna vaccinale soltanto 2.152 riguardano gli ospiti delle case di riposo, mentre il resto è stato distribuito per 38.361 unità tra il personale sanitario e 6.882 tra quello non sanitario. Il dato che rende l’idea del ritardo è quello degli anziani che compongono la popolazione delle Rsa piemontesi: oltre 27mila. Dunque siamo a meno di un decimo delle vaccinazioni previste. Non solo. Se si guarda al Veneto, che ha un numero di abitanti leggermente superiore a quello del Piemonte, balza all’occhio una differenza non da poco. A fronte di 68.480 vaccinazioni, ne ha effettuato 52.211 al personale sanitario, 7.287 a quello non sanitario, ma ben 8.982 agli ospiti delle strutture assistenziali. Perché nella regione governata da Luca Zaia sono stati vaccinati anziani nelle case di riposo in un numero oltre quattro volte rispetto a quanto successo in quella guidata da Alberto Cirio?

“Perché siamo di fatto bloccati dalle disposizioni sul consenso informato che avrebbero dovuto risolvere un problema, ma in realtà non lo hanno fatto”, risponde Michele Assandri presidente di Anaste Piemonte, una delle maggiori associazioni dei gestori delle Rsa. “È vero che il decreto di pochi giorni fa individua nei direttori sanitari delle strutture i soggetti titolati a diventare amministratori di sostegno ad hoc per quei moltissimi ospiti che non sono nelle condizioni di decidere se vaccinarsi o meno, ma è altrettanto vero – spiega Assandri – che la norma prevede che il direttore sanitario prima interpelli i parenti dell’ospite, arrivando se del caso fino a quelli di terzo grado e solo dopo si rivolga al giudice”. Senza contare, come ricordano i gestori che “circa la metà delle strutture non hanno un direttore sanitario, nel qual caso la norma prevede debba intervenire quello della Asl di competenza”.

Di fronte alla spiegazione che dà il presidente di Anaste e ai numeri notevolmente differenti tra le due regioni, l’obiezione naturale è quella che rimanda a una norma nazionale. Insomma, il decreto che ha raccolto, almeno in parte, la richiesta avanzata dal responsabile della campagna vaccinale nell’ambito del Dirmei Antonio Rinaudo di superare, restando nel perimetro della legge, la questione del consenso informato e della nomina dell’amministratore di sostegno, non vale solo in Piemonte. Se sono le regole ancora farraginose alla base di quelle sole poco più di duemila vaccinazioni nelle Rsa, perché in Veneto ne sono state fatte quattro volte tanto, ma così anche in Toscana dove su un totale di 44.487 dosi somministrate sono ben 7.357 gli ospiti delle case di riposo già vaccinati?

Lecito supporre che in queste e in altre regioni si stia procedendo con un sistema più rapido, rispetto alle regole fissate dal decreto, magari facendo sottoscrivere il consenso informato dal parente dell’anziano che ha rapporti consueti, per tutte le questioni, con la struttura e che in Piemonte è addirittura definito formalmente come parente di riferimento? In caso contrario c’è da chiedersi la ragione di quello che non può che definirsi un ritardo sulla tabella di marcia per quanto riguarda la parte più esposta e fragile della popolazione.

Un problema al quale i gestori ne sommano altri, per molti versi non meno importanti. “Stiamo notando che alcune Asl chiedono alle Rsa di effettuare le vaccinazioni utilizzando il proprio personale sanitario – spiega Assandri – anche se questo non è espressamente previsto, ma anzi vietato”. E poi c’è la questione dei tamponi rapidi: “È stato deciso di utilizzare questo tipo, anziché i molecolari, per testare il personale anche se la recente circolare del ministero raccomanda di impiegare quelli di terza generazione più attendibili mentre la Regione ci fornisce quelli precedenti. Almeno si riduca il tempo tra un test e l’altro che da noi è di due settimane, mentre in Veneto si fanno tamponi ogni settimana”.

Un forte ritardo nella vaccinazione degli ospiti e dei controlli sul personale non proprio tali da garantire che il virus non entri nelle strutture, non sembrano la traduzione in pratica migliore di quegli annunci che mettevano al primo posto la parte più fragile della popolazione. Quella che ha pagato e paga il prezzo più alto al Covid.

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