LOTTA AL COVID

Un piano da 20 milioni (dello Stato) per vaccinare i piemontesi over 60

Cresce l'attesa e lo scetticismo per il piano Arcuri. La Regione prepara accordi con i medici di famiglia. Icardi: "Senza di loro non se ne esce". Ai mutualisti circa 14 euro per ogni vaccino con richiamo. Le risorse arriveranno dal ministero della Salute

Squadra vincente non si cambia. “I nostri medici di famiglia hanno fatto un milione di vaccini antinfluenzali in due mesi. Abbiamo una macchina perfetta, oliata e in grado di marciare meglio di qualunque altra”. Mentre il commissario nazionale Domenico Arcuri fatica a comporre la sua annunciata formazione di medici e infermieri da inviare in tutto il Paese e ancora non ha ancora reso noto (se c’è) il piano per le fasi successive a quella attuale, l’assessore regionale alla Sanità Luigi Icardi spinge sull’acceleratore. Lo fa per replicare il modello attuato per l’influenza, almeno per quanto riguarda la fascia dei cittadini dai 60 anni in su, affidandosi principalmente ai medici di medicina generale, cui si aggiungeranno, con l’estensione graduale a tutta la popolazione, i farmacisti, le strutture si sanità privata oltre naturalmente a quelle pubbliche.

Un piano agile, quello che la Regione sta costruendo con accordi con le rappresentanze dei medici, ma che ha dei costi. Il tariffario prevede 6,16 euro per ogni inoculazione, che va raddoppiata per il richiamo e, aggiunti gli oneri, porta il costo di ogni immunizzazione a circa 14 euro. Un rapido conto, moltiplicando la cifra per 1 milione e 400 mila, che è il numero degli over 60 residenti in Piemonte, porta a circa 19 milioni e 600mila euro. Che salirebbero attorno ai 50 milioni prevedendo la prosecuzione del lavoro dei medici di famiglia anche per la fase in cui a dover essere immunizzata sarà tutta la popolazione piemontese. “Senza l’impiego dei medici di medicina generale non ne usciamo”, ammette Icardi che, come molti suoi colleghi delle altre Regioni, non concede troppe speranze al piano Arcuri e alle promesse di invio di personale. Quella frase oggi la ripeterà al ministro Roberto Speranza, avendo peraltro già avuto rassicurazione dai massimi vertici burocratici del dicastero circa la copertura finanziaria dell’operazione.

Precondizione per la discesa in campo dei medici di famiglia e dei farmacisti è l’arrivo di vaccini la cui conservazione, trasporto e manipolazione sono pressoché analoghi a quelli dell’antinfluenzale. Dunque si dovrà aspettare il prodotto di AstraZeneca e Johnson & Johnson e magari altri che si aggiungeranno, senza richiedere basse temperature e preparazioni complesse come il vaccino Pfizer, l’unico attualmente in distribuzione, anche se tra il 25 e il 27 gennaio è atteso in Piemonte l’arrivo di 4.800 dosi del prodotto di Moderna.

E mentre a ieri risultano vaccinati 8.439 piemontesi portando la percentuale dell’utilizzo delle forniture al 61,3%, Arcuri ha fissato a sua volta al 30% la percentuale che deve essere destinata a scorta per il richiamo. Proprio sulla quantità di scorte e sul criterio di assegnazione delle forniture si consuma fin dall’inizio una situazione di competizione e tensione tra le Regioni. In Piemonte, per esempio, nei primi giorni si era deciso di trattenere come scorta la metà delle dosi, poi questo aveva portato a rimanere indietro nel numero delle vaccinazioni rispetto ad altre regioni e, pertanto, si era scesi al 20% come scorta. Adesso il commissario ha fissato la soglia, ma quelle regioni che hanno fatto più vaccinazioni, come il Veneto e la Campania proprio oggi in conferenza cercheranno di far modificare il criterio di distribuzione, chiedendo i vaccini non in base alle persone da immunizzare, ma in base al numero di quelli già fatti. “Una richiesta assurda – la definisce Icardi –. Qui non si tratta di fare una corsa. Si deve procedere speditamente, ma senza ingaggiare gare”.

Ingaggia, invece, uno scontro a distanza l’assessore con l’Anaao-Assomed regionale sulla questione dei temponi, respingendo la non velata accusa mossa dal sindacato dei medici ospedalieri sulla scarsità di test da cui deriverebbe l’anomalia piemontese data dall’alta percentuale di ricoveri per Covid parametrati sui positivi accertati. “Attualmente risulta ricoverato oltre il 19% dei positivi, su una media nazionale del 4,5%”. Cioè quasi un soggetto attualmente positivo su 5 in Piemonte è in ospedale, mentre in Italia non si arriva a 1 su 20”, aveva osservato la segretaria del sindacato Chiara Rivetti. “Non c’è nessuna falla nel sistema – ribatte Icardi –. C’è da dire che avendo una medicina territoriale debole c’è stata e c’è un’ospedalizzazione più elevata, rispetto ad altre regioni. Anche per questo abbiamo elaborato un protocollo per le cure domiciliari che auspico venga applicato in maniera sempre più diffusa, riducendo i ricoveri”. 

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