Quell'eredità dispersa

Non ho mai amato molto partecipare alle celebrazioni commemorative, poiché ho sempre temuto si potessero trasformare in un’apoteosi di retorica. I ricordi possono essere utili a soddisfare i sentimenti di chi li rievoca, oppure si possono trasformare in un tuffo nel tempo orientato alla presa di coscienza delle giovani generazioni.

La Festa della Liberazione, il Primo Maggio, il Giorno della Memoria sono occasioni utili per guardare al domani officiando il passato: preziosi insegnamenti sul riscatto umano; messaggi di speranza in un mondo caduto a pezzi tra dittatori e leggi razziali.

Cento anni fa in seguito alla scissione socialista nasceva il Partito comunista d’Italia. Un parto doloroso, pieno di sofferenza, che ha pesantemente influito nella storia moderna del nostro Paese. Oggi la ricorrenza è occasione di sparuti dibattiti e di numerose pubblicazioni editoriali curate da giornalisti appartenenti ad aree politiche liberali, o addirittura marcatamente di destra. Occasione persa per narrare fatti da cui derivano grandi insegnamenti.

Il partito di Gramsci, del massimalista Bordiga, di Togliatti sembra non aver lasciato eredi, neppure “discendenti” degni di raccoglierne il sostanzioso patrimonio ideale. L’autore dei “Quaderni dal Carcere”, ricordato recentemente a Torino dal professor Angelo D’Orsi, ha sempre legato le sue scelte politiche alla realtà sociale dell’epoca, evitando di agire sulla base di strategie velleitarie o cedendo a irrealizzabili scenari di lotta contro il regime e le classi dominanti.

In seguito all’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, i partiti di opposizione al governo Mussolini scelsero di non partecipare più alle sedute delle Camere, ritirandosi sull’Avventino. Il comunisti, che inizialmente condivisero la scelta con gli altri gruppi di minoranza, decisero coraggiosamente di rientrare in Parlamento (in mano alle camicie nere) esponendosi a violenze di ogni genere. Gramsci pagò per le sue idee con il carcere senza perdere dignità e ideali. Una tenacia di carattere dimostrata dal ripetuto rifiuto di firmare qualsiasi richiesta di grazia, sino a morire per i pesanti soprusi subiti durante la detenzione. Qualsiasi atto di clemenza, ma soprattutto la grazia, estingue la pena e non cancella il reato: accettare la liberazione avrebbe significato ammettere di essere un criminale per aver fatto una legittima opposizione politica.

Il Pci ha pagato un alto contributo di vite sia al regime fascista che nella guerra di Liberazione. Negli anni del dopoguerra i suoi militanti sono caduti vittime della mafia, di banditi spietati (strage di Portella della Ginestra il Primo Maggio 1947), di attentati neofascisti e di chi negava furiosamente la dignità ai lavoratori. Malgrado l’isolamento imposto dagli alleati atlantici, il Partito comunista è stato un protagonista indiscusso della società italiana che lo ha visto difendere le fabbriche dalla depredazione fascista dopo l’8 settembre, lottare per la promulgazione dello Statuto dei Lavoratori negli anni ‘70, difendere il diritto di autodeterminazione delle donne e nell’impegno continuo per il riconoscimento dei diritti civili.

Grandi lotte, molte battaglie e qualche errore strategico, come avvenuto con il movimento sessantottino e la contestazione studentesca del ’77, hanno segnato il lungo percorso del partito liquidato infine da Achille Occhetto: annientamento di una realtà di massa dalla profonde radici nelle periferie urbane e nei luoghi di lavoro.

Dirigenti ambiziosi in cerca di carriera hanno distrutto i sogni utopistici di un mondo migliore. Demolizione chirurgica resa possibile dalla complicità di quei quadri sinceramente convinti si potesse fare un cumulo di macerie di quella esperienza, per poi ricostruire facilmente una nuova forma di partecipazione democratica sotto le insegne del “Riformismo”.

Le nuove e le vecchie formazioni progressiste non hanno saputo rispondere nel quotidiano alla sofferenza di una base elettorale sempre più critica verso il potere costituito, la quale ha trovato rifugio nella Lega e poi nell’irreale parola d’ordine “Prima gli italiani”.

Le ultime vicende che hanno segnato la cronaca politica nostrana, in primis le dimissioni del premier Conte, sono l’effetto dell’ennesima esplosione centrifuga di chi non è riuscito a riempire il vuoto lasciato dal più grande partito comunista dell’Occidente.

Leader mossi esclusivamente dall’appagamento del proprio super ego, oppure dal desiderio ossessivo di gestire il potere scimmiottando l’epoca feudale dei signorotti e dei vassalli, credono di poter legittimamente elargire un contributo (magari grazie ai fondi europei ottenuti dall’esecutivo Conte), riconoscere e concedere un diritto (o una regalia) in cambio di fedeltà assoluta.

La scomparsa delle ideologie ottocentesche (soprattutto di una, poiché liberismo e fascismo godono di buona salute) non ha consegnato un nuovo slancio sociale alla politica, ma ha distrutto qualsiasi germoglio di Libertà e partecipazione.

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