Ripartire dal Lavoro

Nel dibattito politico locale e nazionale non spiccano, con rare eccezioni, le due parole fondamentali che il Paese reale chiede: Lavoro e Sanità. Con l’eccezione del dibattito pubblico nella coalizione di centrosinistra torinese dove i due aspiranti sindaci le hanno evocate. Da una parte Lo Russo che ha esordito con Torino che deve ri-diventare la capitale del lavoro, da realizzare con “lo sviluppo del manifatturiero, portando qui grandi aziende che siano la base per le piccole”, mentre Salizzoni cita la Città della Salute perché in realtà è l’unico argomento che conosce.

La parola lavoro è fondamentale (anche nella Costituzione) per la ripartenza del Paese, la pandemia ha fatto “strage” del lavoro su tutti i fronti: dipendente, determinato, autonomo. Colpendo soprattutto giovani e donne. Lo ricorda il presidente del Cnel, Tiziano Treu: “La disoccupazione giovanile è cresciuta ancora raggiungendo il 29,7%, la più alta d’Europa seconda solo alla Spagna, mentre la perdita di lavoro femminile ha raggiunto cifre insostenibili (-99mila a novembre 2020). Senza contare che il 2021 si è aperto con il 77% dei contratti collettivi nazionali scaduti. Le politiche del lavoro in questo scenario diventano un test decisivo per il successo di tutto il Piano. Nel XXII Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva un’attenzione specifica viene data ai possibili sviluppi del sistema degli ammortizzatori sociali, con una proposta unitaria di Cgil, Cisl e Uil, insieme a posizioni parzialmente diverse di Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Confservizi e Abi. Comune alle diverse posizioni risulta il raggiungimento della garanzia del sostegno al reddito, secondo modalità diversamente espresse dalle parti e dai settori produttivi, per le sospensioni o riduzioni dell’attività lavorativa di tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli delle microimprese”.

In queste parole c’è tutto un programma per la ripartenza del Paese, dalla rimodulazione degli ammortizzatori sociali con carattere universale. La pandemia ci dice chiaramente che il lavoro autonomo non può più essere esente da una rete di protezione sociale che deve essere accompagnata da una maggiore tutela anche per i dipendenti delle imprese artigiane. Occorre però lavorare soprattutto sulle politiche attive su cui il sistema dei navigator e del Reddito di Cittadinanza ha sostanzialmente fallito. Su questo però o si attiva uno sforzo culturale da parte degli imprenditori su come definire i percorsi di selezione, formazione e inserimento del lavoratore neo assunto, oppure se continuano a considerarlo esclusivamente “affare loro” e come sistema flessibile di gestione dei livelli di occupazione non andremo da nessuna parte. Purtroppo sul Titanic (l’Italia), l’orchestra (il sistema politico attuale di Governo e opposizione) sta dando uno spettacolo incomprensibile da parte dei passeggeri (gli Italiani). E non esistono scialuppe di salvataggio!

A fine marzo scadrà l’ennesima proroga al blocco dei licenziamenti, è un passaggio cruciale di cui la politica non si sta occupando. Il centrosinistra più i grillini sono impegnati nel disdicevole balletto innescato da Renzi; per contro il centrodestra, unito ma divisissimo, non ha ancora espresso una classe dirigente capace di governare; nonostante abbia governato abbondantemente. Eppure i prossimi mesi potrebbero essere decisivi, se il sistema dei vaccini, nonostante i ritardi di consegna, cominciasse a fare i suoi effetti. Anche se, è bene ricordarlo, oltre l’80% dei decessi è di persone anziane e con patologie e quindi non riguarda il mondo del lavoro che però è coinvolto soprattutto dai contagi.

Mondo del lavoro che ha dimostrato, ancora una volta, di reagire meglio del sistema politico. I protocolli di sicurezza aziendali messi a punto dalle parti sociali con i tavoli aziendali e prefettizi hanno consentito di gestire la pandemia sui luoghi di lavoro rendendoli sicuri.

Orbene se i contagi, nella primavera-estate, scendessero notevolmente per effetto dei vaccini si creerebbero le condizioni per una ripresa economica e industriale con il problema di come uscire dal blocco dei licenziamenti. La questione non può, e penso al presidente di Confindustria, essere affrontata ideologicamente ma industrialmente. Sbloccare il blocco non è un via libera ai licenziamenti ma va fatto quando ci saranno segnali di ripresa per attenuare e bilanciare occupazione con produzione. Dall’altra parte il sindacato non deve pensare al blocco come una nicchia protettiva da cui non uscirne più. Il sistema andrà sbloccato, per gradi, con le aziende più virtuose in primis. Anche durante la pandemia ci sono aziende che hanno utilizzato poco o nulla l’ammortizzatore sociale Covid. Cominciamo da loro. Temo il “o tutti o nessuno” di Confindustria, appunto una posizione ideologica dettata dal fatto che ormai in quell’associazione prevalgono le piccole e medie aziende industriali o legate al settore dei servizi, che non sono in grado culturalmente di guidare la gradualità ma rappresentano la radicalità.

Questo è uno dei principali temi “veri” del Paese, invece è sconfortante assistere a discussioni su cronoprogrammi, che poi hanno poco a vedere con il Recovery Plan e che non saranno rispettati. La differenza tra la politica e l’azione sindacale è data dalla prima che afferma un’idea per smentirla subito dopo, mentre le relazioni sindacali prevedono accordi, mediazioni, da rispettare e applicare.

Siccome ci avviciniamo al prossimo Festival di Sanremo il rischio forte è che l’orchestrina del Titanic stia suonando “finché la barca va … lasciala andare”.

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