Politica senza passione

La pandemia ha segnato la fine di un’epoca e l’avvio di un’altra. Quest’ultimo anno infatti può essere raffigurato come lo strappo finale a danno di una società già pericolosamente slabbrata, un colpo secco che ha stravolto abitudini pubbliche consolidate e normalità.

Torino ha cambiato pelle, esattamente come il Paese. La città della grande fabbrica, dell’orgoglio operaio, delle “giunte rosse” nel giro di pochi anni si è trasformata in un’altra metropoli. Oggi, in epoca pandemica, la nuova veste sociale del capoluogo piemontese non è necessariamente più bella oppure più brutta (come di certo pensa chi ha vissuto i movimentati anni ’70 e ’80), ma è semplicemente “altro”.

La prossima scadenza elettorale cittadina obbliga i partiti alla ricerca di candidati forti, e possibili alleanze, per esprimere un nuovo sindaco e quindi governare la città. La metropoli subalpina è scossa da un susseguirsi giornaliero di nomi, di designati i cui volti si imprimono nelle menti degli elettori. Nella compagine di centrodestra viene accreditata la corsa alla Sala Rossa di Paolo Damilano, a cui si contrappone timidamente l’ex assessora regionale Claudia Porchietto: una competizione a due, disputata a suon di comunicati stampa.

In casa Pd invece si è creato un vero caos agonistico, dove tutti invocano le primarie anche se il Covid19 le rende quasi impossibili. Nel frattempo si susseguono i dibattiti faccia a faccia tra candidati autoproclamati tali e le interviste al vetriolo, in cui emergono tutti i profondi crepacci che separano le correnti politiche democratiche. Uno sgomitare molto preoccupante sembra annunciare che ne rimarrà solamente uno, come in Highlander: un unico sopravvissuto tra agguerriti disputanti che si combattono a colpi di sciabola (Stefano Lorusso, Gianna Pentenero, Mauro Salizzoni, Igor Boni, Enzo Lavolta).

L’effetto mediatico della situazione preelettorale torinese avrà di certo una ricaduta nel voto comunale, poiché da settimane i cittadini leggono di un centrodestra con due soli contendenti tutto sommato poco rumorosi. Porchietto mette nelle priorità dei suoi primi cento giorni da sindaca il Lavoro (un miracolo di questi tempi), mentre Damilano snocciola un programma incentrato su una metropoli dalla mobilità sostenibile grazie alle monorotaie. Il centrosinistra al contrario offre uno sconsolato quadro fatto di litigi e autoreferenzialità, da cui sembra scostarsi solamente Enzo Lavolta, il quale cammina per la sua strada non disdegnando il M5s come compagno di viaggio (cosa resa ancor più difficile dopo il licenziamento del premier Conte).

Intorno ai due campi antagonisti vi sono poi i gruppi minori, dove si aggirano le annunciate liste di comodo che si agganciano all’universo sovranista e i raggruppamenti un tempo raccolti intorno a Rifondazione Comunista. Quest’ultima è una galassia incapace di avere una parola d’ordine comune, nonché un programma condiviso e un candidato sindaco unitario. La presa d’atto che la lista civica Torino in Comune, rappresentata con passione e dedizione da Eleonora Artesio, sia prossima al disfacimento ufficiale (non solo formare) fa presagire il manifestarsi di un profondo vuoto nella prossima contesa amministrativa.

Un turbinio di nomi a cui pare non corrisponda una tempesta di idee, di proposte, di progetti. Ad oggi le amministrazioni decentrate e quella centrale hanno dato prova di piena sottomissione verso i progetti giunti all’ufficio protocollo. Scelta che ha dimostrato una scarsa attitudine alla ricerca creativa di soluzioni ai complessi problemi del territorio. La politica ha assimilato nel tempo una visione purtroppo simile a quella dei burocrati statali vecchio stile (e ancora presenti in molte Agenzie dello Stato): fare quanto previsto dal proprio mansionario e risparmiare energie per incassare il premio legato agli obiettivi raggiunti (nel caso della politica si traduce in consenso). Le proposte degli amministratori raramente vanno a beneficio della collettività, ma puntano ad accantonare i problemi con il minimo sforzo e il massimo profitto in preferenze.

Il modo con cui è stato affrontato il problema dei senzatetto accampati in città raffigura un folgorante esempio di come, tra luoghi comuni e assenza di inventiva, alle interviste non seguano azioni risolutive. Non si è parlato delle cause sociali che portano tante persone a sfidare freddo e solitudine in strada, non si è fatto cenno al motivo per cui si preferisca dormire su un cartone all’aperto piuttosto che in un dormitorio pubblico, non è stato fatto un quadro della loro provenienza e del perché alcuni di loro siano giunti a Torino dall’Europa dell’Est. Neppure c’è stata una seria riflessione su come garantire dignità ai clochard e al contempo preservare la cura dei beni comuni cittadini usati come riparo di fortuna (portici e Porte Palatine).

Trovare un negozio vuoto (tra i tanti inattivi) da adibire a bagno pubblico per i senza fissa dimora, attrezzare aree comunali con tende, o aprire i cortili degli edifici pubblici per offrire riparo, sono ipotesi che possono essere valutate andando oltre all’atteggiamento burocratico ottocentesco. L’esempio riguarda il comune, ma la mancanza di “coraggio” contraddistingue l’azione amministrativa di gran parte delle Circoscrizioni cittadine così come delle istituzioni sovraterritoriali.

Dalla passione scaturisce quell’energia che sviluppa creatività temeraria, dall’egoismo e dall’avidità deriva solo l’ordinaria amministrazione (il minimo indispensabile).

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